Amélie Nothomb, Uccidere il padre

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Non poteva mancare, fra le cronache da Bruxelles un articolo su Amelie Nothomb, di fatto la più famosa scrittrice belga. Lasciando da parte il personaggio, una volta straordinariamente eccentrico e originale, ora forse un po’ adagiato sull’immagine di se stessa e delle sue stranezze, l’autrice é sicuramente degna di nota sulla scena francofona e non solo, per la particolarità della sua scrittura e della sua visione del mondo.
Al suo attivo abbiamo ormai una ventina di romanzi, quasi tutti tradotti anche in italiano.
Mi soffermo sul suo ultimo libro, Uccidere il padre, pubblicato in Italia nel 2012 da Voland e in Francia nel 2011 da Albin Michel, il suo fedele editore.

Ancora una volta stupisce Amelie Nothomb, per l’irriverenza delle sue storie, per il suo stile cinico, (auto)ironico, sornione e il suo sguardo disincantato di chi ha già visto troppo.
In questo romanzo forse la storia é meno estrema rispetto alle precedenti, ma sempre le vicende oscillano tra realismo esasperato e surrealismo. Un realismo magico forse, dove la magia é l’elemento chiave, soprattutto in questo racconto dove si parla di maghi, giocatori, coupier e bari. “Vai a sapere cosa accade nella testa di un giocatore”, riporta la frase in quarta di copertina (almeno nell’edizione francese). Ambientato a Las Vegas, dove probabilmente la scrittice non é mai stata (come del resto spesso accade anche in altri libri), l’atmosfera é gia quella fantastica e leggendaria del poker, del deserto, di giocolieri e prestigiatori.
Un triangolo é questa volta al centro della vicenda, introdotto dal personaggio stesso di Amélie Nothomb che fa da cornice narrativa e introduzione alla storia, come già capitato in altri romanzi, dove più che di autobiografia si tratta di corrispondenza anagrafica.

Il protagonista é un giovane con una storia familiare un po’ turbolenta alle spalle, alle prese con una semi-inconsapevole ricerca di un padre e tutte le matrici freudiane del caso.
Cosa rappresenta la figura del padre? Chi si identifica in esso? Qual’é il bisogno (o presunto tale) di una figura paterna? Padri, maestri, professori, istruttori…tutto ruota intorno all’archetipo maschile. E parallelamente il simbolo che attraversa come un filo rosso tutto il romanzo é il fuoco, elemento ancestrale per eccellenza ma soprattutto magico.
Lo stile, come sempre, é estremamente nitido, trasparente, chiaro e spoglio. I dialoghi inattesi, cinici e dai risvolti sempre inaspettati. Tutto mira all’essenzialità, le descrizioni, le conversazioni, il concatenamento delle frasi. Non da ultimo la reazione del lettore, i cui occhi rimangono sempre spalancati e l’aria sconcertata. Soprattutto verso la fine di quello che oscilla fra un romanzo breve e un racconto lungo, dove la vicenda ha risvloti inaspettati che rovesciano le aspettative e ogni tipo di happy ending.

Disincanto, cinismo, realismo magico. Ecco l’universo di Amelie Nothomb che si trova spesso confinato in provincia, ma per una volta si estende al vasto contiente americano, ai suoi deserti e alla capitale del gioco.
Quando non si tratta di paranoia é comunque un fattore di anormalità che si unisce al quotidiano, con la massimo naturalità, in linea con lo stile di scrittura cristallino.
Ma l’elemento di instabilità é comunque integrato nel reale e lo mina da vicino ad ogni istanto, fino a manifestarsi di solito nel finale del libro.
Uccidere il Padre non é forse il capolavoro di Amélie Nothomb e rispetto ai primi romanzi (penso a Cosmetica del nemico, Acido Sulfurico, Metafisica dei tubi) é meno sovversivo, ma sicuramente in linea con lo sguardo mai banale e scontato, di questa autrice atipica sospesa tra noir, commedia, tragedia e disincanto. E’ impossible non fare i conti col personaggio, autentico o costruito (questo rimarrà uno dei tanti misteri che avvolgono la scrittrice) che ha fatto dell’originalità e dell’eccentricità un marchio di fabbrica. Ma per quanto ci si possa essere ormai abituati a questa figura dark, amante dei grandi cappelli neri e dello champagne, un elemento di instabilità non cessa di essere presente nei suoi libri. A volte esso riguarda i temi, altre volte i personaggi o le storie che sono spesso estreme e ‘borderline’. Ma quello che ci affascina di Amélie Nothomb é il suo tono, la sua abilità nel condensare in poche pagine intensità, stupori e tremori (é proprio il caso di dirlo), contraddizioni e verità scomode, veicolando il tutto in uno stile asciutto, scarno e a volte poeticamente violento.
Un’autrice da assaporare tutta d’un fiato, sospendendolo a volte e abbandonando ogni aspettativa rassicurante.

per BookAvenue, Silvia Bertolotti

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