L’ordine sociale cosmetico è il delitto perfetto

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Ho preso in prestito una frase di Concita De Gregorio, dal suo libro Così è la vita. Imparare a dirsi addio (Einaudi, 2011), un must da non perdere per chi volesse scrollarsi di dosso le visioni abbacinanti delle scorse legislature. Che c’entrano con un libro, direte voi. Ciò che spesso si ignora è che tanti comportamenti “politici”, abilmente amplificati dalla cassa dei media (spesso manovrati direttamente dall’alto, come ci ha tristemente dimostrato l’ex premier) inducono a emulazioni di massa o, più precisamente, a desiderio di emulazione. Se i genitori hanno diretta responsabilità negli insegnamenti dei figli, i padri di una nazione (i politici di turno) impartiscono anche loro (sempre volutamente) un’idea di comportamento. E così, negli ultimi vent’anni circa, chiamiamolo pure ventennio berlusconiano, pace all’anima sua, abbiamo assistito ad una sorta di copertina patinata del Governo, tra bellezze catapultate in ruoli tanto delicati quanto lontani dalle loro precedenti condotte di vita e fauci maschili spalancate stile cavernicoli in preda a raptus volitivi. “L’estetica detta l’agenda politica”, scrive De Gregorio, riassumendo in poche parole l’ordine avvilente creato da abili strategie televisive, giornalismo di basso livello, e proclami elettorali speziati da volgarità in brutta mostra.

Qualcosa è cambiato, per fortuna, sobrietà e rigore stanno faticosamente riprendendo il timone, sempre minacciati però da derive populiste e persino secessioniste (maschere impunite dei soliti noti che occupano, nel peggiore dei modi, ancora una poltrona). Già, che c’entra parlare di politica? In un Paese come l’Italia, dove l’età media di un politico, o di un docente di ruolo, o di un imprenditore avviato, o di uno scrittore noto, è di oltre 50 anni, la politica conta eccome. Sembrerà un gioco perverso con la morte, ma qualcuno molto in alto finanziava l’Ospedale di Don Verzè per portare avanti una ricerca che lo avrebbe fatto vivere fino a 120 anni e a continuare a goderne pienamente fino al suo termine.
Cito da Così è la vita: «“Nell’attesa conviene restare ai fatti. Conviene considerare, scrive Susan Ertz, che “milioni di persone desiderano vivere in eterno, poi non sanno cosa fare la domenica pomeriggio se piove”. Inoltre non sanno cosa dire, e come dirlo, a un bambino che chiede: “Ma quando uno muore, muore per tutta la vita?”». Ecco, quello che è mancato in tutti questi anni è stato un normale procedere verso la vecchiaia/saggezza di un popolo, illuso invece tra elisir di lungo godimento e guadagni facili. Persino a scuola, sondaggi alla mano “cosa vuoi fare da grande” ha raggiunto il climax dell’orrore dando risposte degne di tanto sforzo politico: escort e calciatori, le prime pensate dalle ragazzine come politiche in carriera e i secondi confusi dai ragazzini come amici dei politici, se non altro per i guadagni stratosferici. Un quadro scandagliato a tutto tondo dal libro di De Gregorio, che denuncia sia l’ex gestione della vita pubblica (perché politica vuol dire anche questo), sia un vuoto educativo scolastico, e non solo, sulla morte. Un vuoto che ha non poche ripercussioni sui piccoli e sui grandi. L’attaccamento, a cui per italica tradizione siamo abituati, porta a credere infatti che tutto possa essere possesso, anche la vita (anche quella altrui come le cronache riferiscono).
Eppure nel resto d’Europa e del mondo non mancano esempi notevoli di insegnamenti e c’è anche una fiorente editoria dedicata alla morte, in cui rientrano rari scrittori italiani (come nel caso di Beatrice Alemagna, Susanna Mattiangeli, Roberto Piumini e pochissimi altri). Perché “così è la vita”, dice il titolo del saggio della ex direttrice dell’Unità, e non parlarne è un po’ come non parlare della vita stessa, non guardare in faccia alla realtà e alla fine di questa, che non è né bella né brutta, solo che accade.
L’Appendice del libro è un piccolo gioiello bibliografico in tal senso. La storia breve di una goccia, di Beatrice Alemagna, Anatra, la morte e il tulipano, di Wolf Erlbruch, il comicissimo Buongiorno Signora morte, di Pascal Teulade e Jean-Charles Sarrazin, Un Paradiso per il piccolo Orso e l’Angelo del nonno di Jutta Bauer, Mi chiamava Simbad, di Francisco Castro (primo libro per bambini sull’Alzheimer) e altri, classificati per perdita del nonno, della mamma, del bambino e la paura della morte in generale. Una piccola biblioteca che non esclude nessuno e che comunque sa adoperare comicità, fantasia e colore per far trionfare per ultimo la vita e soprattutto la condivisione. Quanto erano preziose le adunate intorno al caro estinto di una volta, le preghiere insieme, e persino le mangiate. Segnavano il passaggio ufficiale verso l’al di là, la comunanza dei destini e la certezza di non essere soli, mai. Ora si esorcizza solitari la morte davanti a un gioco della Play.
I capitoli passano in rassegna aspetti della vita dell’autrice che la vedono far pace con la morte di persone care, il dolore tuttavia ormai disfatto dall’eco di musiche miracolose (come quella del coro delle Manos Blancas); l’aspetto lunare della Llorona amante ex amante di Frida Khalo e i rituali ancestrali che sopravvivono nelle feste tradizionali; l’obitorio letterario di Parafrugell, in cui in attesa di superare il rito della morte si può leggere qualche libro a tema della casa editrice alfin libros; la filmografia splendida che indaga sui passaggi necessari; come spiegare la morte a un bambino; come riderne a crepapelle.
Mentre sale la curiosità di scoprire quello spassoso libro sulla morte spiegata ai piccoli che è Conigli suicidi, leggiamo tutto di un fiato Così è la vita, scritto, e, aggiungo, anche letto, come dice Margarte Atwood (citata dall’autrice) per negoziare con le ombre.

 

 

Per BookAvenue, Rosa Manauzzi

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