Decrescita. Una nuova parola per il futuro

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Il lavoro di Daniel Kahneman ha aperto una strada nuova per chiunque non si rassegni a vedere l’economia solo come un metodo per arricchire i banchieri a spese di tutti gli altri: Kahneman ha contribuito in modo decisivo a riportare le persone e le dinamiche relazionali nell’ambito di indagine dell’economia. Tanto è vero che Nassim Taleb apprezza molto Kahneman: Taleb ha visto con largo anticipo che alcuni banchieri stavano mandando il mondo a gambe all’aria e non ha mai accettato di rassegnarsi all’idea di lasciarli fare.

 

Kahneman e Taleb si sono incontrati,tempo fa, a Monaco. L’incontro è stato straordinario per molti versi. Ma soprattutto, secondo me, per il retrogusto culturale del dibattito. (la registrazione è sul sito di Dld).

Taleb era profondamente indignato per il fatto che una scienza come l’economia fosse riuscita a far credere a tutti di essere capace di prevedere e prevenire il rischio, mentre ne era palesemente incapace. Questo inganno collettivo, durato a lungo, ha reso possibile il lavoro truffaldino dei banchieri e la rovina che essi hanno causato alle loro istituzioni e l’impoverimento di chi opera nell’economia reale quasi ovunque nel mondo. E proponeva una riforma della finanza in base alla quale tutto venga sostanzialmente semplificato e non ci sia più bisogno di gente che prevede (anche se non ne è capace) l’andamento dell’economia aumentando i fattori di rischio in caso di bufera finanziaria.

Kahneman, che chiaramente provava simpatia per l’intelligente anche se indignata narrazione di Taleb, non ha potuto fare a meno di ricordare uno dei più chiari risultati delle sue ricerche: nella maggior parte dei casi, le persone non ragionano in modo razionale; piuttosto prendono decisioni in base all’intuizione, cioè in base alla prima idea che viene loro in mente. Un sistema di rassicurazioni come quello che arriva dall’economia tradizionale – quella che si dichiara in grado di prevedere e prevenire i rischi – piace a una società di personee che agiscono prevalementemente in base all’intuizione. Gli unici razionali, fa capire Kahneman, sono i banchieri che hanno accumulato un sacco di soldi per sé.

Taleb ha risposto richiamando il fatto che a essere irrazionale non è il comportamento dei banchieri ma il sistema che consente loro di fare quello che hanno fatto. E Kahneman, pur dandogli ragione, ha ribadito che introdurre nella società la razionalità del sistema che chiede Taleb sarà difficile perché implicherebbe un’attività di ragionamento da parte di molte persone che di solito si dimostrano più orientate, appunto, a lasciarsi cullare nell’intuizione.

Siamo di fronte al confronto tra ragione e abitudine, tra volontà di riforma e inerzia sociale, tra pensieri individuali e comportamenti collettivi… Che cosa conta di più? Chi vince nel confronto? Ha ragione il prudente Kahneman o l’indignato e volenteroso Taleb? Forse ci vogliono entrambe le posizioni: un atto di ribellione è pur sempre l’inizio dell’innovazione; ma la ribellione è tattica, mentre la consapevolezza delle difficoltà è un principio di strategia.

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