Una piccola rivoluzione, molto borghese

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“Il Giovin Signore si trova ad agire in un contesto e in un tempo nei quali qualcuno si permette di mettere in discussione i privilegi del suo stato e i diritti del suo casato. Educato nella ferma certezza del suo rango, affronta le contestazioni e i nemici con l’assoluta sicurezza del suo buon diritto. Nel  nuovo mondo in cui si trova a vivere e ad agire, la sua fermezza inconcussa appare come boria violenta e alterigia irresponsabile. Con l’educazione tardofeudale finisce per essere sfasato rispetto al suo tempo. Ogni questione finisce per sembrargli una questione d’onore. Sembra non aver capito che nell’Ottocento per tutelare efficacemente i propri interessi deve servirsi freddamente di avvocati e tribunali, e non usare in modo sanguigno di bravi e randelli.”
Federico Bozzini, Nobili, borghesi e contadini in un conflitto di paese, Mazziana, Verona, 2016, p. 39.

 

 

Direi che queste righe sono la sintesi perfetta di una vicenda svoltasi nella bassa veronese  negli anni venti dell’ottocento. In un minuscolo paese troviamo a fronteggiarsi da un lato la nobile famiglia Maffei che ha sempre considerato quel territorio un possedimento da cui attingere le proprie risorse e gli abitanti degli obbligati e dei fedeli sottoposti, costretti a subire i desideri dei Patroni. Dall’altro lato abbiamo l’emergere di una moderna classe possidente borghese, che non accetta un ruolo subalterno e che contrasta lo spadroneggiare aristocratico con nuovi ed inusuali strumenti.
Una rivoluzione borghese che si svolge per mezzo di carte bollate, avvocati e tribunali.

Il motivo del contendere è un antico diritto di decima che avevano alcune famiglie nobili sui raccolti dei paesi di Erbè e Erbedella. I Maffei, unici nobili alloggiati in paese, riscuotevano il diritto consuetudinario anche a favore di altri compatroni nobili non residenti nella località. In quanto presenti in loco erano i soli in grado di controllare la vera entità dei raccolti e che l’obbligo venisse adempiuto  in maniera completa.

All’inizio degli anni venti avviene lo scontro tra la famiglia Maffei e Francesco Bertoli, “ricchissimo proprietario terriero, attivissimo imprenditore, efficiente appaltatore di strade, onnipresente nell’economia del borgo”.(p. 19) Personaggio alquanto arrogante, inviso a tutti gli abitanti, persino ai parenti, rappresenta perfettamente la classe imprenditoriale emergente; riesce nonostante tutto a raggruppare attorno alla sua figura quasi tutto il paese, trasformando uno scontro personale in una battaglia di giustizia.

Bertoli, con straordinario tempismo, sfrutta il tracollo finanziario e lo scontro generazionale all’interno dei Maffei che comporta una perdita di ascendente nei confronti degli abitanti del paese. E’ in questo contesto che sferra il suo attacco ai Patroni rifiutandosi di pagare la decima. La risposta del giovane Maffei è quella di appropriarsi con la forza di quanto dovuto per diritto consuetudinario. Il borghese allora decide di giocare su un campo diverso da quello della forza e ricorre al tribunale chiedendo che siano resi pubblici i documenti su cui si fonda il diritto di decima. Nessuna delle famiglie che riscuotevano l’imposizione riesce però a trovare  nei propri archivi prove relative al conferimento del diritto. Il tribunale dà quindi ragione a Bertoli. Dopo questa sentenza i ricchi proprietari borghesi, seguiti e spalleggiati dai contadini che hanno perso ogni timore reverenziale, si rifiutano di corrispondere il balzello.

All’interno della vicenda si muovono in modo corale tutti gli strati sociali le varie figure eminenti del paese e le autorità politiche austroungariche, che appoggiano ora una ora l’altra parte. Il tutto in un tempo che sembra sospeso tra Ancient Regime e modernità con la parabola discendente della nobiltà e quella ascendente della borghesia, nelle delinearsi delle quali si possono leggere le varie reti di relazione e il loro mutare.

 

per BookAvenue, Davide Zotto

 

il libro:

Federico Bozzini, Nobili, borghesi e contadini in un conflitto di paese, Mazziana, Verona, 2016, p. 39.

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