Nikos Kazantzakis, Zorba il greco.

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Grazie alla nostra amica e collega Paola Mattiazzo, celebriamo il grande capolavoro dell’autore cretese e greco.

Ho provato spesso il desiderio di scrivere la vita e le imprese di Alexis Zorba, un vecchio operaio che ho molto amato.
I maggiori benefattori della mia vita sono stati i viaggi e i sogni; pochissimi esseri umani, tra vivi e morti, mi hanno aiutato nella mia lotta. Ma se volessi distinguere le persone che hanno impresso l’impronta più profonda nella mia vita ne enumererei tre o quattro: Omero, Bergson, Nietzsche e Zorba. […]

[…] Se oggi dovessi scegliermi nel mondo intero una guida spirituale, un “guru” come lo chiamano gli indiani, un “Anziano” come lo chiamano i monaci del Monte Athos, sceglierei sicuramente Zorba.
Perché lui aveva tutto quello che serve a uno scribacchino per salvarsi: lo sguardo primitivo che agguanta fulmineo dall’alto il suo nutrimento; la naturalezza creativa, che si rinnova ogni mattino, di guardare incessantemente alle cose come se fosse la prima volta e di ridare la verginità ai secolari elementi quotidiani – vento, mare, fuoco, donna, pane; la sicurezza della mano, la freschezza del cuore, l’ardire virile di beffarsi della propria anima, come se avesse dentro di sé una forza superiore all’anima stessa; e infine la risata limpida e selvaggia che scaturiva da una sorgente profonda, più profonda delle viscere dell’uomo, e che nei momenti cruciali esplodeva liberatoria dal vecchio petto di Zorba; esplodeva ed era capace di demolire, e demoliva, tutte le barriere – morale, religione, patria, che le persone sventurate e impaurite erigevano per sfangarsela senza troppi danni nella propria misera vita.
Quando ripenso al cibo di cui mi hanno nutrito per tanti anni i libri e i miei maestri per saziare un’anima affamata, e a che mente leonina mi ha dato come cibo Zorba in pochi mesi, fatico a trattenere la rabbia e la tristezza. Per un puro caso la mia vita è andata perduta; troppo tardi ho incontrato questo “Anziano”, e ciò che ancora poteva essere salvato di me era insignificante. La grande svolta, il definitivo cambiamento di fronte, l’”incendio” e il “rinnovamento” non si realizzarono. Era ormai troppo tardi. […]

[…] Il più delle volte io non parlavo; che cosa poteva dire un “intellettuale” a un drago? Lo ascoltavo raccontarmi del suo villaggio sul Monte Olimpo, delle nevi, dei lupi, dei comitagi di Santa Sofia, della lignite, della magnesite, delle donne, di Dio, della patria e della morte – e all’improvviso, quando era stanco e non ne poteva più delle parole, balzava in piedi, sui grossi ciottoli della spiaggia, e cominciava a ballare.
Vecchio, il busto eretto, ossuto, la testa rivolta all’indietro, i piccoli occhi rotondissimi come quelli di un uccello, ballava e gridava e batteva i lunghi piedi sulla battigia, mentre il mare gli spruzzava il viso. […]

[…] Mi sono spesso vergognato della mia vita, perché ho sorpreso la mia anima a non avere il coraggio di fare ciò che la suprema follia – l’essenza della vita – mi gridava di fare; ma non mi sono mai vergognato tanto della mia anima come di fronte a Zorba. […]

[…] Seguii la voce misurata, fredda, umana della ragione. Impugnai la penna e scrissi a Zorba per spiegargli… E lui mi rispose:
“Padrone, scusami, ma sei uno scribacchino. Potevi anche tu, poveretto, per una volta nella tua vita vedere una bella pietra verde, e non l’hai vista. Quant’è vero Dio, a volte quando non dovevo lavorare, me ne stavo seduto e dicevo tra me: ‘Esiste o non esiste l’Inferno?’. Ma ieri, quando ho ricevuto la tua lettera, ho detto: ‘Sicuramente deve esistere l’Inferno per certi scribacchini’”. […]

È quasi una commemorazione questo libro di Nikos Kazantzakis; un modo per riordinare i ricordi e per raccontare la vita e le imprese di Alexis Zorba. Un anziano, un uomo semplice e non istruito, tuttavia pieno di saggezza e amante della vita.
Un uomo che l’autore conosce per caso, al Pireo, mentre attende di imbarcarsi per Creta dove ha preso in affitto una miniera di lignite. Nikos è un uomo tormentato; da poco tempo ha subìto la separazione dal suo amatissimo amico Stavridakis, partito per il Caucaso, e cerca conforto leggendo Dante e tentando di portare a termine una propria opera su Buddha. La miniera in affitto è il mezzo per scrollarsi di dosso l’odioso appellativo di “topo da biblioteca” affibbiatogli per scherno proprio da Stavridakis, per dimostrare di essere capace di portare a termine un’impresa materiale e non solo di rimanere sempre chino a rimuginare sui libri.
Mentre Nikos siede al bar del porto, in attesa della nave che lo porti a destinazione, Zorba si avvicina e si offre di accompagnarlo e di lavorare per lui. Nikos capisce, dai modi e dalle parole di Zorba, di aver finalmente trovato l’uomo che cerca da tempo e accetta.
Ma chi è Alexis Zorba? Un uomo dai modi rudi e dalla lingua tagliente che non ha remore nel dire quello che pensa; un operaio che, nella propria vita, ha svolto innumerevoli mestieri in svariate località del mondo; un uomo “incontaminato” dall’istruzione, che non ha mai reciso il proprio cordone ombelicale con la madre terra; un marito e un padre che si è dedicato alla propria famiglia, come milioni di altri mariti e padri ma anche un soldato che ha compiuto atti di inaudita efferatezza per servire la propria patria. Tutte le esperienze vissute l’hanno impregnato di saggezza, facendogli abbandonare ogni futile legame od orpello e rendendolo un uomo libero di vivere la vita nella sua essenza. […] Mi sono liberato della patria, mi sono liberato dei preti, mi sono liberato dei soldi, passo al setaccio le cose. Più passa il tempo, e più setaccio le cose; mi alleggerisco. Come faccio a dirtelo? Mi libero, divento uomo”. […]

La miniera di lignite occupa le giornate di Zorba, che la dirige in tutto e per tutto: trova i filoni, scava per estrarli, dirige gli operai, progetta e realizza una teleferica per il trasporto dei tronchi da utilizzare; alla sera, nella loro tenda sulla spiaggia, Nikos e Zorba cenano e poi conversano fino a quando non giunge l’ora di addormentarsi. Ma Zorba è anche un inguaribile donnaiolo che non perde le occasioni che la vita offre, che si tratti di anziane sfiorite o di seducenti giovani donne.
La miniera è solo “fumo negli occhi” per gli abitanti di Creta. A Nikos interessa poco l’andamento degli affari e non gli dispiace di subire perdite anziché ricavarne degli utili; il suo unico interesse è Zorba e quanto c’è da imparare dalle sue azioni e dai racconti delle sue esperienze. La presenza di quell’uomo, le sue parole, le sue improvvise sfuriate, così come i canti accompagnati dal salterio e i balli sulla spiaggia, sono necessari a Nikos più dell’aria che respira.

[…] “Quest’uomo”, pensai, “non è andato a scuola e il suo cervello non si è guastato. Ha visto e ha fatto e ha subìto molte cose, la sua mente si è schiusa, il suo cuore si è ampliato senza che lui abbia perso la sua originale valentía. Tutti i problemi che a noi sembrano complessi lui li risolve con un colpo di spada, come il suo compatriota Alessandro Magno. È difficile che sbagli, perché posa tutto intero, dai piedi fino alla testa, per terra. Gli africani selvaggi adorano il serpente perché l’intero suo corpo tocca la terra, e così ne conosce tutti i segreti. Li conosce con il ventre, la coda, i genitali, la testa. È in contatto con la Madre, si mescola con essa. Anche Zorba è così. Noi intellettuali siamo gli sciocchi uccelli dell’aria”. […]

Trascorsi alcuni mesi, un giorno devono necessariamente separarsi e la vita li conduce in luoghi lontani senza più dar loro modo di rivedersi.
Nikos sente, a distanza di tempo, la necessità di far rivivere Zorba attraverso “Zorba il greco”, al fine di non disperdere e di non dimenticare i momenti vissuti con l’amico e gli insegnamenti che ne ha tratto.
Il libro viene pubblicato ad Atene nel 1946, nella totale indifferenza della critica, e l’unica edizione italiana è realizzata traducendo l’edizione inglese del 1952. Fino al 2011, quando una nuova edizione italiana viene prodotta traducendo integralmente l’opera in greco.

“Zorba il greco” è più di una semplice biografia di un personaggio realmente esistito; si potrebbe definire un manuale di filosofia spicciola che contrappone, all’altisonante terminologia specialistica, il linguaggio semplice e schietto e le azioni naturali di un uomo analfabeta che ha compreso il reale valore della vita e si è affrancato da ogni effimerità. Un’opera che cambia la visione della vita, radicalmente, ridisponendone le priorità.

per BookAvenue, Paola Mattiazzo

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