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L’insostenibile privilegio della sofferenza

   Tempo di lettura: 7 minuti

Libro del mese / Gennaio. Ahi-ahi-ahi… tra i quasi 60.000 libri pubblicati nel 2010 vi è sfuggito il bel romanzo di Enrico Remmert, Strade bianche [1], edito da Marsilio (checché ne dicano le classifiche Marsilio non pubblica solo autori svedesi!). Non date la colpa al libraio: svuotare decine di colli al giorno, e metterli a scaffale, spesso sottrae tempo al consiglio di una buona lettura. Per fortuna ne parla Stilos [2] sul numero di gennaio (in edicola [3] oppure on line [4]) e ne parlo qui su BookAvenue, dove ho recuperato parte della lunga intervista che Remmert mi ha rilasciato e che il mensile, per motivi di spazio, non poteva integralmente ospitare.

Remmert è un autore a tutto campo ─ copywriter per la pubblicità, sceneggiatore per il cinema ─ e Strade bianche è il suo terzo romanzo, dopo il sorprendente debutto con Rossenotti (1997) e La ballata delle canaglie (2002). Scoperto all’epoca da Dario Voltolini e sostenuto da Grazia Cherchi [5] ─ rigorosa e infaticabile talent scout dell’editoria (Baricco, Benni, Carlotto) ─, l’autore torinese ha impiegato quasi cinque anni per mettere a punto questo testo, delicato e particolarissimo. A partire dalla struttura narrativa. Tre voci a monologo che s’inseguono e s’alternano dall’inizio alla fine producendo nella trama un ritmo più teatrale che cinematografico, dove i pensieri dei personaggi sono espressione diretta, non filtrata, del loro animo agitato, popolato da bugie, insofferenze e passioni.

Passioni potenti, come per la musica, alla quale il protagonista Vittorio, violoncellista di grande talento, ha dedicato la vita. Un giorno riceve un’offerta di lavoro da un’orchestra di Bari e si prepara a lasciare Torino. Ma a Torino c’è anche la sua ragazza, Francesca, veterinaria. I due stanno attraversando un periodo di crisi che non sanno come affrontare: questa distanza potrebbe aiutarli? Alla coppia di fidanzati si aggiunge Manu, amica di entrambi ─ pazzerella, sanguigna, divertente ─ impiegata in una autoscuola. Proprio lei, in fuga da inconfessabili problemi, si offre come autista per accompagnare Vittorio nel lungo viaggio verso Bari, coinvolgendo Francesca nell’impresa. Una Fiat Punto scassata e tre vite responsabili, quasi anonime, che ripetutamente nel lungo tragitto dal Piemonte alla Puglia sono costrette a compiere scelte brutali, penose, ma per una volta autentiche, consapevoli del fatto che “la sofferenza non conferisce alcun privilegio”. Sullo sfondo, descritta con molta cura e piacevoli punte di umorismo, ecco l’Italia dei paesini annegati nella nebbia, delle statali piene di benzinai e ristoranti; l’Italia delle autostrade notturne che sfiorano l’Adriatico e si perdono tra le colline, delle piazzole di sosta e delle coste isolate dove appena ti fermi, ti domandi: “Che ci faccio qui? E adesso?”. L’arrivo a Bari non somiglierà affatto a un traguardo, sarà l’occasione ─ forse ─ di una nuova e inaspettata partenza.

A quale autore ti senti più vicino, come poetica e modello narrativo?

Mi auguro a nessuno. È ovvio che ci sono decine di scrittori che amo alla follia, ma nessuno che senta come un  modello totalizzante. Ho sempre fatto enormi sforzi nel cercare una strada mia, il più possibile originale e somigliante solo a se stessa. E sempre tentando di ricercare un equilibrio fra profondità e superficie, fra spessore e disinvoltura, fra malinconia e humour. Ma ho anche una cura totale della scrittura, che però non dev’essere solo fine a se stessa, ma al servizio di una trama che funzioni. E, infine, il punto più importante: scrivo solo se sono totalmente coinvolto – innamorato direi – di ciò che voglio raccontare. È ovvio che un approccio del genere costringe a non essere molto prolifici e infatti ho pubblicato solo tre romanzi.

C’è qualcosa di sospeso e disperato nelle tue storie che ricorda da vicino Pier Vittorio Tondelli, sbaglio?

Non conosco bene Tondelli: oltre al libricino Biglietti agli amici e al saggio biografico curato da Andrea Demarchi, ho letto solo Altri Libertini e Pao Pao. Per capirci: ci sono scrittori come Buzzati, Fenoglio o Calvino di cui ho letto tutto, per questo dico di non conoscere bene Tondelli. Però ciò che dici, cioè il fatto che ci sia “qualcosa di sospeso e disperato” nelle mie storie, mi sembra una definizione perfetta, mi sa che te la rubo per la prossima intervista.

Hai già sperimentato la lettura di un eBook? Ti preoccupa, ti incuriosisce? Secondo te può cambiare il modo di scrivere?

Sono un po’ scettico e non sono il solo. Ti faccio un esempio pratico: prima che Strade Bianche uscisse avevo ovviamente già a disposizione le bozze di stampa in pdf: ma tutti quelli a cui ho chiesto se erano interessati a leggerle mi hanno risposto che preferivano avere poi il libro stampato, tranne uno che ha ricevuto il file e se l’è subito stampato per conto suo. Morale: questo è l’esempio lampante che l’eBook è una cosa per le mie figlie. La nostra generazione, per quanto riguarda i libri, sembra ancora carta-dipendente. Quanto al fatto se l’eBook può cambiare il modo di scrivere, credo proprio di sì, ma non è una cosa che mi troverà coinvolto.

Ma Remmert-lettore, cosa tiene sul comodino?

Leggo sempre più libri contemporaneamente, in genere tre, ma mai dello stesso genere, per non fare pasticci. La terna consueta è un romanzo, un libro di poesia e un libro di racconti. Oppure, oltre alla narrativa e alla poesia, un saggio o una biografia. Attualmente sono su Il piacere non può aspettare [6] di Tishani Doshi, Olive Kitteridge [7] di Elizabeth Strout e La gioia di scrivere [8], l’antologia completa delle poesie della Szymborska.

Àlen Loreti* per BookAvenue

* Precedentemente a questo articolo una mia recensione a “Strade bianche” con intervista all’autore è apparsa sul numero di gennaio di Stilos con il titolo” Sono le domande a trovare le risposte al senso della vita” (pag.40-41).


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