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Wikicrazia. La democrazia in rete

   Tempo di lettura: 4 minuti

copertinaC’è una parola magica che potrebbe consentire un’impresa titanica: ricucire il rapporto di fiducia tra i cittadini e chi li governa. Sembra un’utopia per sognatori, ma dopo aver letto il libro Wikicrazia di Alberto Cottica (Navarra editore) viene davvero voglia di credere che un altro mondo sia possibile. A maggior ragione negli stessi giorni in cui il sito Wikileaks, scoperchiando le malefatte americane in Iraq, conferma che l’informazione è il primo passo verso una democrazia allargata.

 

L’autore del libro è un bel personaggio: musicista di successo con i Modena City Ramblers e i Fiamma Fumana, in realtà è un economista prestato alla musica: la cosa che fa meglio, in effetti, è favorire la nascita di progetti creativi con presupposti economici realistici.

E la parola magica? E’ proprio Wiki, che viene dall’hawaiano e significa ‘veloce’, ma soprattutto indica un approccio culturale, per non dire uno stile di vita: quello dell’enciclopedia telematica Wikipedia, che sfrutta il contributo di tutti gli utenti per crescere e diventare sempre più attendibile. Secondo il principio che se ci sono tanti occhi a guardare, prima o poi gli errori saranno scoperti tutti.

Nel libro di Cottica, Wikicrazia serve per definire un approccio nuovo eppure antico alla vita pubblica, che prevede la partecipazione dei cittadini amministrati al processo di governo. Quello che una volta facevano le comunità locali, oggi è possibile nuovamente grazie alle tecnologie e alle Community, luoghi virtuali senza vincoli di spazio e di tempo nei quali chiunque sia interessato a un tema può confrontarsi con altri suoi ‘simili’, e condividere esperienze sommandosi in un’intelligenza collettiva.

Il concetto alla base di tutto il libro è molto semplice: se le amministrazioni pubbliche si appoggiassero maggiormente alle competenze dei cittadini, che spesso ne sanno più di loro, molti problemi anche quotidiani potrebbero essere risolti in modo rapido ed efficace. Riducendo anche lo scollamento tra gli elettori e i loro rappresentanti.

Cottica cita una serie di esempi concreti in cui è già successo: dalla Katrinalist, un database sui dispersi dell’uragano Katrina messo insieme in quattro giorni da hacker americani mentre il governo non riusciva a cavare un ragno dal buco, all’etica che sta dietro i programmi open source come Linux, al sito Theyworkforyou che consente agli inglesi di ricevere informazioni dettagliate su tutta l’attività, rimborsi spese compresi, dei parlamentari in carica. Fino al ‘Peer to patent’ del governo Obama, un sito aperto per snellire le pratiche dei brevetti commerciali attirando le competenze dei tecnici specializzati su base volontaria. Certo, ci sono anche casi documentati di fallimenti, come nel caso el blog di Romano Prodi, che non seppe mantenere l’interesse suscitato alla sua apertura perché non aprì mai un vero scambio alla pari con i suoi lettori.

Ma anche da noi, i successi non mancano: lo stesso Cottica racconta di come gli sia stato possibile, come consulente del ministero per lo sviluppo, creare spazi per gli artisti della Basilicata indirizzando nel modo migliore i fondi regionali dopo aver coinvolto gli stessi creativi in prima persona. O come in Inghilterra il libero professionista Peter Roberts, lanciando nel dicembre del 2006 una petizione contro una tassazione pubblica sulle strade, abbia raccolto in due mesi un milione e ottocentomila firme, costringendo il premier Blair a ritirare il progetto.

Doriano Rabotti [1]

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