Ma Carofiglio racconta una storia di sole due notti con lo stesso stile raffinato e scelto a cui ci ha abituato dai primi romanzi, stile declinato poi in forma più didattica nella saggistica e nei numerosi incontri “live” sulla parola e sulla scrittura.
Bellissima è la cornice che circonda le figure dei protagonisti, tra le vie strette e il mare aperto del sud della Francia. Caldi gli anni di ambientazione: gli anni Ottanta, anni di entusiasmo, di fiducia nel futuro, di passioni e speranze. Imprevedibili le vicende, fino all’ultima pagina, come lo è il jazz, che è la musica incompiuta per antonomasia.
Il giovane protagonista vive un rito di passaggio, una “situazione” importante e unica nella propria esistenza, un’esperienza che gli fa dire: “io non volevo che finisse, volevo restare sospeso nel punto in cui ero, sulla linea di confine. Nel punto esatto tra prima e dopo”. E’ una metafora della vita fatta di attimi che vorremmo fermare, di passaggi che vorremmo non avessero mai un approdo. Eppure anche il lettore divide con i protagonisti quello stato d’animo che è riassunto nella parola tagalog “balikwas”: saltare all’improvviso in una nuova situazione e sentirsi diversi.
Ecco forse sta proprio qui il segreto del rito iniziatico racchiuso nel romanzo di Carofiglio, nella conoscenza profonda del padre che poi, da ultimo, non è altro che la conoscenza di sé. E se alcune cose restano in sospeso, non dette, non chiarite, forse è proprio perché consentano di parlarne ancora.
Un tema arduo è racchiuso all’interno della vicenda, quello della malattia e della ghettizzazione che rischia chi ne è (e ne era) affetto. Una storia completa, intensa, che ci fa riflettere sull’esistenza e sui rapporti umani profondi.
Un romanzo, come dice l’autore, per cercare di chiarire ciò che di solito non si capisce: uno dei segreti della nostra vita.
Per BookAvenue, Bruna Mozzi