Don DeLillo, L’uomo che cade

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Dove eravamo tutti l’undici settembre 2001?
Abbiamo ancora il ricordo di quel giorno prima che diventassimo tutti reduci di quel giorno?
Io, per esempio, mi ero sposato solo 48 ore prima. Ero tornato a casa con mia moglie ed eravamo partiti per il viaggio di nozze verso l’altra parte del mondo. In quell’isola lontana le immagini di quanto accadeva in diretta arrivavano come un eco di uno scoppio lontano. Era il telegiornale della CNN che trasmetteva il crollo delle torri mentre noi, tornati dal mare, ci asciugavamo i capelli increduli di quanto era davanti ai nostri occhi e cambiando la prospettiva di un giorno qualunque della nostra vita.

Non importa dove vi siete alzati la mattina dell’11 settembre 2001. Dall’altra parte dell’oceano, l’aria è così spessa dopo che le torri sono cadute – a strati con la fuliggine e la carne degli uomini incenerita – che ha trasformato nel terrore una circostanza inevitabile quanto il tempo. Tutte le scommesse di una bella giornata di fine estate sono disinserite. I newyorkesi che sanno sempre dove stanno andando hanno conosciuto il non saper dove andare. Gli autisti delle carrozze a cavalli per i turisti che si chiamano tutti Muhammad ora sono temuti come un nemico; degli sconosciuti qualsiasi in una via qualsiasi si sono abbracciati come una famiglia qualsiasi sotto un baldacchino in un giorno di pioggia, al riparo dall’acqua che cade. Così, un istante qualunque, era il “nuovo normale”. Oggi la parola undici settembre porta con sé tante difficoltà – dall’interpretazione sentimentale della politica, e della guerra che è ancora durissimo trovare il senso di un evento così reale, quanto di così grande portata, sotto gli strati enormi dei grattacieli caduti. (e c’e’ qualcosa di enorme anche nella parola: grattacielo).
Nel suo nuovo romanzo, DeLillo spinge quanto accaduto già nella sua prima frase: “non era più una strada ma un mondo, un tempo e spazio di cenere in caduta e semioscurità”. Difficile ricordare il mondo come era, il terrore mortale, l’ansia e la confusione della massa… ora sembrano così distanti. Benché la sensibilità e la prosa “dell’uomo che cade” siano un marchio di fabbrica della scrittura di De Lillo, il romanzo sull’ undici settembre somiglia ai libri dell’autore dei romanzi panoramici che sondano l’età atomica (“underworld”) e l’assassinio di Kennedy dove si mescolano storia e fiction, con l’eccezione di scorgere tra le righe – come vedere da una finestra – la presenza quasi spettrale di un corpo che cade.

Ma, a differenza di altri suoi straordinari libri – e questo lo è altrettanto – l’effetto cumulativo è devastante, poiché DeLillo costringe il lettore in un rendez-vous inesorabile con un umore grezzo di terrore che non ti aspetteresti da un romanzo forte ed evocativo per quanto si riferisca, inevitabilmente, a fatti che hanno cambiato la faccia del mondo. Almeno quello conosciuto fino a mezzogiorno dell’11 settembre 2001.

Eppure, l’abilità di DeLillo è quello di trasformare un fatto (o dei fatti) reali in una non-fiction quasi stessimo leggendo un libro di buon carattere ma di un visionario. Sembra incredibile ancora adesso che è invece riconducibile a cose e situazioni che possono essere realmente accaduti come il ritrovamento di una 24ore che uno dei protagonisti dei racconti si porta a casa: la sua strana, indicibile stanchezza. La sua spossatezza mentre sale le scale del suo palazzo deserto tanto da gridare “C’è nessuno qui?” O come la donna che non riesce a tornare a casa perché, la sua, si trova nel raggio della devastazione e gli accessi sono chiusi dalla polizia. E poi c’è da credere che sia davvero accaduto che una delle finestre di quelle case sia stata avvolta dalla fuliggine e cemento tanto da oscurare il passaggio ad un solo raggio di luce. O l’assoluta normalità delle giornate di un uomo che sta per immolare la sua anima al suo Dio, portando con sé quelle di migliaia di altri. Leggendolo uno si immagina che tutto questo sià una finzione piuttosto che la registrazione di un fatto/i realmente successi.

In una intervista sul Newyorker, Delillo ha detto: “Un evento come l’undici settembre non può essere spiegato ai lettori con una analogia o fatto simile.” Il terrore principale – “i cellulari sulle orecchie di tutti nel tentativo di rassicurare chi sta dall’altra parte dell’antenna ma invano, i fazzoletti schiacciati sulle facce degli uomini e donne che corrono via e poi, la pioggia -quella pioggia!- di fogli (a4 ndr) da stampante, tipici degli uffici, deve prendere la precedenza sopra la politica, la storia e la religione. “c’è qualche cosa di vuoto nel cielo,” e ancora: “colui che scrive prova a dare la memoria, la tenerezza ed il significato a tutto quello spazio che occupa il suono di un urlo.”

Ecco. Quell’urlo l’ho sentito anch’io leggendolo. Mi sono ricordato di quello soffocato di una americana che davanti alle immagini della CNN da un televisore, su di un isola dall’altra parte del mondo quella mattina dell’11 settembre tra le lacrime diceva “Oh My God, Oh My God”. Ma con educazione. Quasi per non disturbare la quiete degli ospiti. Con una mano sulla bocca.

 

copertina

Don DeLillo
L’uomo che cade
Einaudi

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4 commenti

  1. Hai ragione Isa. Mi sono ricordata di quest’articolo del capo e ho chiesto ad Agnese di ripostarlo per l’11. Gran “pezzo” però. Paola.

  2. Quando sei partito, mesi dopo l’accaduto, ho avuto pena di quello che avresti provato. Abbiamo avuto molto tempo per raccontarci. Enza

  3. Quell’urlo l’abbiamo risentito anche noi leggendoti è riaffiorato e come dicono loro dobbiamo:
    ” must go on”
    Difficile proporre la rubrica libri bambini dopo di questo ma ok must go on …
    grazie michele

  4. Ho rivisto ieri il David Letterman Show del dopo 11 Settembre. Mi ha colpito molto l’espressione che a un certo punto ha usato Letterman: ‎”il coraggio è più forte di ogni sensazione umana…” che credo aiuti molto a capire cos’è stato il 9/11.

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