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Cosa si nasconde sotto il piatto

Cristina Lilea è stata una cantante folk di discreto successo negli anni ’80 nei locali milanesi e manager di locali e bar-musicali per professione. Aprire il suo primo bar con musica dal vivo & hamburgeria ispirato agli anni ’70 è stato un sogno diventato realtà. Il primo anno della sua attività nel quartiere di Brera a Milano è stato un vero spasso, con un sacco di fermento e folla ogni sera. Poi, sfortunatamente la pandemia l’ha costretta alla chiusura forzata come è capitato a tutti.

Nell’estate del 2022, dopo un’anno e mezzo di sacrifici immani e una ripresa difficile come per molti a causa del post COV-19, gli affari stavano letteralmente crollando. Cristina, poi, faticava a trovare un nuovo personale dopo che i suoi l’avevano lasciata: significa che il servizio era in sofferenza e stava perdendo clienti. Nel frattempo, il costo del lavoro era aumentato. Il costo del lavoro è un asset determinante sul conto economico al punto che il “credito da mancia”, dal costituire un benefit (leggi: premio) settimanale, ha finito per diventare una parte importante di risorse per integrare e pagare la maggior parte dei salari. Un sistema, questo, molto “americano” dove le mance, però, sono obbligatorie. Da noi non è detto che funzioni allo stesso modo.

Fino a novembre 2022, Cristina si era limitata ad applicare una voce: “coperto” a costo fisso al conto. Tuttavia, ha annunciato a malincuore l’introduzione del costo del servizio dell’20% che non aveva mai applicato in precedenza, per compensare in parte gli aumenti salariali e i costi di esercizio, seguendo l’esempio di quasi tutti i ristoranti e bar che lo applicano senza dare troppa pubblicità. “Questo addebito non è una mancia. Per favore, continua a offrire una mancia a chi ti serve al tavolo per il loro lavoro. grazie.”, ha scritto sul menù. Una vera sconfitta, per lei.
Meglio se fosse rimasta zitta. Il contraccolpo non si è fatto attendere: sui social, i commenti sono stati subito severi, soprattutto dai clienti più assidui. Quasi tutti trovavano del tutto ingiustificata l’operazione di “adeguamento” e che era un’idea terribile. Cristina mi ha confessato che qualcuno aveva addirittura lasciato una recensione su Google con una “stella” per lamentarsi del costo. Pentita e sollecitata dal feedback negativo, appena due settimane dopo, ha invertito la rotta e rispondendo all’ennesimo cattivo saluto ha scritto: “Prendiamo atto. Siamo d’accordo ma consentiteci di ritoccare solo i prezzi. Grazie.” Non ha funzionato neanche questo senza sollevare problemi anche sul costo del panino. Allora, ha ridotto il menu degli hamburger e gli orari del bar (e del personale). Il che è un paradosso per un locale di musica & cibo. Davvero, chiudere alle 23.00 è un delitto. Nella nostra lunga chiacchierata mi ha riferito del suo malessere: “Più mi ridimensionavo, più pensavo: non voglio più fare questo mestiere. Davvero.” Ad un certo punto arriva il burn-out: il cuore si stacca da tutto. All’inizio di gennaio del 2023, annuncia che il suo bar avrebbe chiuso di lì a breve. “Credimi”, mi dice commossa ”Sembrava inutile tutto quello che avevo fatto”. Non riuscendo a tenere sui costi sembrava quasi inevitabile.

Poi, però, accade un piccolo miracolo: il proprietario del locale le riferisce che le avrebbe ridotto l’affitto per tutta la durata del contratto (altri 6anni) pur di non vedere chiudere il locale. Secondo me, aveva ben chiaro che non sarebbe stato facile riaffittare i locali a qualche altro: stavamo tutti riprendendoci dalle chiusure forzate della pandemia: un conto è la voglia di fare impresa e ricominciare, un’altro è fare i conti con la realtà. A quel punto Cristina vede una possibilità. “Non siamo ancora fuori dai guai, ma abbiamo una possibilità per andare avanti”, mi dice salutandomi, autoconvincendosi dello sforzo da fare e sapendo bene che i suoi costi (di manodopera e le spese generali) tenderanno ad aumentare.
E’ passato un’anno. Per gestire questa transizione, Cristina ha cambiato un po’ registro: pensando a come coinvolgere più band ogni settimana e concentrandosi sulla vendita di alcolici piuttosto che di cibo. Non ha azzerato le commissioni di servizio, ma dal 20% le ha reintrodotte gradualmente partendo dalla metà: il 10%. Cosa insegna questa storiella?

Cambiare le regole
Il “coperto” ha un’origine storica molto antica: durante il Medioevo si faceva pagare nelle antiche osterie. La motivazione deriva dal fatto che, durante il periodo invernale, contadini e viandanti usavano ripararsi dal freddo e dalle intemperie sostando presso le locande spesso consumando, per la povertà diffusa, il cibo che portavano con sé. Il costo del coperto copriva il servizio e le comodità del riparo, del posto a sedere e delle stoviglie messe a disposizione dall’oste, che al contrario non includeva il coperto nel conto di chi usualmente avrebbe ordinato il vino e le sue pietanze. Fino all’inizio del Novecento il prezzo del coperto finì per includere l’acqua e il pane, e i ristoratori continuarono ad accettare di buon grado che i clienti portassero il cibo da casa, considerando normale l’indigenza dei molti e cercando piuttosto di guadagnare con la mescita del vino.
Allo stesso modo, la voce “servizio” (che non andrebbe confusa con il coperto) risale al recente passato, in cui i contratti di lavoro non erano ancora stabiliti e non esisteva un compenso fisso per il personale. Per questo motivo il ristoratore/proprietario usava pagare il personale in percentuale sulla base delle ordinazioni prese e del servizio prestato ai tavoli. In quel caso la quota del servizio variava tra il 15% e il 20% del totale richiesto al cliente sul conto.
Il modello tradizionale di come si paga in un ristorante e di come vengono pagati i dipendenti del ristorante è sempre stato un gioco complicato che ha a che fare, come tutte le attività commerciali, a come si costruisce il margine. Hai mangiato il tuo hamburger, se stato bene, hai lasciato una mancia oltre il conto e quei soldi sono andati alle persone che ti hanno servito. Punto.

La giusta paga. La giusta tassa.
La paga oraria di un addetto al 7° livello (il più basso del contratto della ristorazione-turismo) full-time nei primi 3 anni in azienda è quindi 1.250/1300 euro lordi: poco più di 7 euro lordi ad ora. Capite? 7 euro lordi l’ora!
Fino a prima della pandemia fa, il ristorante pagava gli addetti al servizio fino a 7,50 euro netti l’ora che con le mancie aiuta a portare il loro salario al minimo di 9/9,50 euro netti e facendo in modo che ogni singolo addetto possa portarsi a casa fino a 1300-1400 euro compresi i 1200euro di stipendio. Quindi, la parte di extracontratto (il cosiddetto (superminimo”) riconosciuta dal datore di lavoro e i 200 euro in più al mese, fanno spesso la differenza. Molti ristoratori, quando le mance non sono sufficienti, compensano la differenza pur di tenersi stretto un cameriere professionale. Ma è raro che accada. I cuochi portano a casa più di 2000 euro netti al mese. Le risorse umane sono la chiave spesso decisiva del successo di un locale. In Alto Adige sono pagati meglio che da qualsiasi altra parte: guadagnano mediamente un 20% in più.
Il contratto di lavoro è gia vecchio del 2018. Il legislatore sta pensando di tassare anche la parte variabile del contratto (per capirci, le mance). Ci si attacca a tutto. I promotori della nuova legge sostengono che questo cambiamento creerà maggiore stabilità per i lavoratori e renderà i loro mezzi di sussistenza meno dipendenti dai capricci e dai pregiudizi degli clienti e dei datori di lavoro. Stipendi più alti per i dipendenti e qualche sgravio fiscale ai datori di lavoro. Domanda: significa che i costi a carico delle imprese aumenteranno con proporzioni differenti dagli sgravi promessi e peggiorando i loro conti, o cosa?
Purtroppo nessuno sembra conoscere le regole di questo gioco. I ristoranti potrebbero addebitare una commissione del 22%. I clienti, d’altra parte, fino ad ora si limitano a lasciare la mancia sul tavolo o a darla direttamente al cameriere .

Davvero. La fretta di fare una nuova legge senza rivedere il contratto di lavoro è anacronistico. Non sarà del tutto sicuro che quanto applicato in percentuale come servizio vada a chi ha servito il tavolo. Non sapremo se dovremo o no dare una mancia dal momento che la troveremmo sul conto. Diventiamo sempre più americani ma siamo nati in Italy, come dice la vecchia canzone. Dovremo imparare nuove abitudini.
Mangiare fuori è già un dibattito, e potrebbe diventare un problema. Le commissioni sono di per sè subdole o trasparenti? I ristoranti sono avidi o sopravvivono?
I ristoratori si sentono incompresi e diffamati. Come Cristina, stanno sperimentando diversi modi di rimanere in attività e, nel frattempo, continueranno a pagare il personale e le bollette senza far incazzare i clienti. Ma le ipotesi di governo, e il modo con cui si trasfermerà il paradigma del settore cambieranno, si spera non in peggio, il modo in cui mangiamo fuori.
Nel frattempo qualcuno può dirci quanto costa davvero questo hamburger?

Combattenti a… pagamento
I commenti sui social sono al momento l’unico termometro della situazione che rischia di sfuggire di mano al legislatore prima ancora di cominciare e ai ristoratori. Il nodo principale gira intorno alle modalità con cui i ristoranti devono rivelare le loro tariffe in modo “chiaro e visibile” prima che i clienti effettuino gli ordini e devono descrivere accuratamente a cosa serve il costo del servizio. Niente più termini ambigui come la tariffa di “recupero”, talvolta presente nei conti, senza spiegare specificamente cosa aiuterà a recuperare.
Inoltre, chiunque riscontri una tariffa presumibilmente ingannevole, oltre che i social dovrebbe essere in grado di presentare un reclamo tramite un modulo online o un esposto alle associazioni dei consumatori. Cosa che non è ancora del tutto possibile fare da noi. La cosa dovrebbe riguardare ogni tipo di ristorante e bar che si possa immaginare, dalla cucina raffinata ai bar, alle caffetterie. Vi è capitato mai di uscire da un ristorante con la strana sensazione di aver pagato un conto poco chiaro con la altrettanto fastidiosa sensazione che il ristorante abbia cercato di farcela (inteso come fregare) sulle vostre tasche?
Il vero nodo dei costi aggiuntivi è pensare che pagherete 10/15 euro per un panino per poi, alla fine, rendersi conto che il cibo costa il 30, se non il 40% di meno del conto.

Negli Usa ci hanno già pensato. Figurarsi!
Una applicazione (si chiama Redditor) controlla il conto; Chrome ha persino creato un’estensione per il monitoraggio delle tariffe chiamata TransparentFee DMV che crea un avviso pop-up ogni volta che gli utenti visitano il sito web di un ristorante che addebita una tariffa sospetta. LA Travellers United, una potente Confederazione dei consumi, ha accusato alcuni gruppi di ristoranti di “drip pricing” – la pratica pubblicitaria di promuovere un prezzo più basso con componenti (leggi: costi) aggiuntivi nascosti che, secondo l’organizzazione, vìola le leggi sulla protezione dei consumatori americane e sostenendo che i ristoranti non sono abbastanza trasparenti su dove vadano a finire i soldi delle mance.
Robette così ce le sognamo. Da noi le associazioni di consumatori si limitano ad alzare la voce ma non sono ancora capaci di incidere davvero sulle fregature nascoste nei conti di bar e ristoranti.
Ci si chiede: perché non “semplicemente” far pagare un po’ più per il cibo e bevande e basta costi? Probabilmente è noto a molti che, con l’arrivo della bella stagione, i ristoranti cominciano a far pagare di più. Accade soprattutto nelle città più importanti e “turistiche” del nostro paese. E sono bugie quelle che dicono che tenere il passo con l’inflazione (e il post-pandemia) ha reso più costoso tutto: dalla carne alle attrezzature da cucina. Si è, dunque, costretti ad alzare i prezzi.

Dietro le quinte
Una commissione del 20% il più delle volte appare del tutto ingiustificata. Si paga anche quando si è ricevuto un servizio inadeguato se non addirittura pessimo. Alcuni ristoranti pagano una tariffa oraria fissa più alta della media che offre ai lavoratori un reddito prevedibile, ma può potenzialmente limitare i guadagni derivanti dalle mance che rimangono “in mano” al ristoratore. Altri, trattano almeno una parte del costo del servizio al cliente in modo simile alle mance, pagando un “bonus” oltre al salario base. “È estremamente complicato, molto difficile dal punto di vista amministrativo farlo legalmente. Alcuni ristoranti infrangono la legge sistematicamente pagando in nero il/ì bonus (e, diciamolo, molto spesso l‘intera paga).

Ritorno al futuro?
Finisco col dire che la mancia è un’abitudine (buona) a cui non dovremmo proprio rinunciare. Molti lavoratori apprezzano la possibilità, naturalmente, di guadagnare di più. Spesso la differenza di alcune decine di euro a settimana in più, sono decisive per cambiare posto. Se sei bravo, si sa in giro: è la ragione del grosso turnover esistente nella ristorazione. Dopotutto, a molti clienti piace riconoscere il servizio. Io stesso non mi sottraggo, ogni volta che riconosco un buon servizio al tavolo, a lasciare un 10% in più.
Un aneddoto. Recentemente, una disputa su come parte delle spese di servizio e mance avrebbero dovuto essere divise tra il personale, ha portato un gruppo di dipendenti di un noto ristorante di queste parti all’accusa abbastanza inedita di furto salariale negate dal ristoratore davanti al giudice, dove si era arrivati dopo la querela. I diverbi di questo tipo di non trovano posto quasi mai tra i titoli principali dei giornali occupati, come si sa, da altro. Tuttavia il “caso” è venuto fuori sulla cronaca locale e la cattiva pubblicità è caduta a pioggia sul ristorante nelle settimane e mesi successivi facendo crollare gli incassi. Risultato? Il proprietario ha licenziato metà del personale a partire proprio da coloro che avevano sollevato la questione. Siamo in Italy.

per BookAvenue, Andrea Pennella


Podcast. La voce della strada: Willis Earl Beal

Posted By Francesca Schirone On In Podcast | No Comments

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Podcast è anche questo. Ricevere una mail da un mittente sconosciuto che tale vuol rimanere per raccontarci di un artista di strada che abbiamo subito amato. Non senza qualche verifica, s’intende. (FS). riceviamo e volentieri pubblichiamo

Nessuno sa e conosce il terribile potere della musica. E del vagare, senza nome, allo sbando, alla ricerca di Penelope. Nessuno ha un nome che sembra quello di un romanziere, o di un attore, o magari di un graffitaro. Willis Earl Beal è tutte queste cose insieme. Oltre che – segnatevi questo nome – un provetto musicista, che promette ancor più di quanto già non stia mantenendo.Nessuno nel giro di due album ha smesso di essere un nessuno, la sua storia, breve ancora, acerba, sta in poche righe di vita e di Wikipedia, termometro di notorietà fatalmente destinato a salire, ad allungarsi.

Una piccola Odissea. C’era una volta uno scricciolo nero, nato a Chicago in un giorno non precisato, che appena ventenne andò il soldato, s’arruolò per venire subito scartato: problemi di salute, guai intestinali. Finì in ospedale, ci restò cinque mesi, ne uscì, finì a lavorare alla Sears Towers, grattacielo monstre di Chicago che oggi si chiama, vedi un po’, Willis Towers, un microcosmo in verticale dove esiste di tutto.

Nel 2007 il giovane nero dalla faccia di vita, bislunga, disarmonica, dentoni, una caricatura, rotolò fino ad Albuquerque, nel Nuovo Messico, dove si perse e ritrovò nei mille lavori di un giorno, nel dormire dove capita la notte, nell’accumulare storie dentro la sua piccola storia di «barbone», nel mettersi a dipingere, a volantinare, a suonare, con quello che c’era, col niente che aveva. Lasciava cd autoprodotti negli spazi pubblici, lasciava fogliettini disegnati da lui con annunci surreali: «Cercasi fidanzata». Un Odisseo da niente, a caccia della sua Penelope.Poteva finire qui. In un vicolo a faccia in giù. In un regolamento di conti tra papponi. In una retata di polizia. Invece è solo il prologo.

Qualcuno vide i volantini. Qualcuno rintracciò Nessuno. E Nessuno finì sulla copertina di Found Magazine, finì ai provini di un X-Factor, gli andò male ma fu meglio così, la ruota s’era messa a girare, il carillon della strada liberava quei brani cigolanti e assurdi, l’etichetta Hot Charity, che fa capo alla prestigiosa XL, ne raccolse alcuni: nasceva così Acousmatic Sorcery, 38 minuti di abbozzi, di voci dalla strada, di bassifondi in bassa fedeltà, di strumenti che non sono strumenti, di una voce ancora esitante eppure già orgogliosa; qua e là, dalle crepe di quel magma di musica e di vita, sgorgano stille di musica nera.

Quelle che, due anni dopo, in questo 2013, fluiranno copiose nel successore Nobody Knows, un successo da subito. Le trovate creative figlie della miseria sono già alle spalle, qui abbiamo un disco di maturità classica, musica nera della grana migliore: si apre col gospel di strada di Wavering Lines, si srotola in onde di rhythm and blues, di soul, di funky, di folk nero.

Inno al low-fi. La bassa fedeltà, il lo-fi come fa snob chiamarlo, non è scomparsa: finisce dentro brani autentici, diventa inferferenza creativa, non più impalcatura ma ornamento, eco d’esperienze, la palestra della strada, del non sapere il tuo domani. Del resto, cosa è mai il blues se non cenere di vita agra che si coagula in suono, in poesia? E allora, dal clangore di bidoni della spazzatura battuti nella intensissima Too dry to cry alle suggestioni waitsiane nella ringhiosa Ain’t got no love, alla rigenerazione di Cat Power, ospite su Coming Through. Ma, soprattutto, quella voce così nera, che si fa spazio tra il nero della notte, dei suoi echi, delle sue ombre, dalle sue spazzole lungo il congedo di Nobody Knows.

È una bella storia. Talmente bella che sembra irreale. Una storia sempre vecchia e sempre nuova, che scatena musica sempre nuova e sempre antica. Come la maschera di dolore del protagonista. Odisseo nero. Ma, per quanto si stia assistendo alla costruzione di una carriera, tutto sta succedendo davvero. Una voce come questa non si inventa: puoi edificarle attorno impalcature di suoni e di riverberi, di suggestioni black, ma o ce l’hai, o non se ne fa niente.

Sontuose ceneri. E questo album, nato da ceneri di povertà, è già sontuoso ma furbo, non eccede, asciuga i suoi rumori e dilata le sensazioni. È un omaggio sfrontato ai Maestri, un camminare con loro ma sempre un passo indietro. È un dare molto, ma non ancora tutto.

Willis Earl Beal, che compone, che suona e che disegna (sue le copertine, sue le animazioni nei video), canta come un uomo che ha già conosciuto la vita, ma anche che ha imparato che è lunga. E chiede di più. Sempre di più.

Che sia con una tastierina giocattolo o con un solitario pianoforte (Burning Brides), la vita trascina chi la canta. E se la canti come sai fare in Everything Unwinds, allora stringi con lei un patto: non la lascerai finché non ti lascerà, t’impegni a seguirla ovunque ti porti.

LE SIRENE DEL SUCCESSO. Oggi Nessuno, che non aveva un posto dove andare e mille posti da tentare, ha mille posti che lo aspettano, lo inseguono, lo cercano. La sua musica lo conduce. Nessuno sa. Sa che dovrà continuare ad ascoltare le sirene, senza finirne preda. Sa che le tante Calipso che oggi lo circondano, lo fanno sentire bello con quella faccia sghemba e quei dentoni, non durano.

Sa che, là fuori, è sempre resistere fra Scilla e Cariddi. Ma sa anche di avere un arco potente nella voce e una precisione formidabile nel centrare l’anima di chi ascolta.

Nessuno sa. Nessuno canta. Continua a cercare la sua Penelope. O la sua Circe.

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articolo non firmato

Desideriamo entrare in contatto con l’autore non fosse altro per sapere come si chiama e scriverlo in testata e se pubblicato altrove di segnalarlo. Tutto qui.

Il viaggiatore

Posted By Marina Andruccioli On In Letture | No Comments

Il mio rapporto con il tempo che passa, è presto detto con un sostantivo: autoironia. Questo episodio, credo, chiarisca appieno che tra i compiti inalienabili di una brava mamma, oltre alla lettura, c’è sicuramente il fornire una buona filmografia di riferimento alla giovane prole; quindi un pomeriggio ho portato la mia piccola figlia in biblioteca per vedere un vecchio film. Allunghiamo le tessere alla giovane bibliotecaria, le indichiamo il film un pochino datato che vorremmo vedere, e attendiamo. Tornano in due con una cassetta VHS e una delle due ragazzine (che stanno facendo lo stage suppongo) prende la cassetta VHS la ruota, la guarda, tenta di aprirla sollevando l’aletta mobile e poi chiede sconsolata all’altra “Ma tu lo sai come si fa?”. Finisce che per toglierle d’impaccio faccio io, sentendomi molto, molto stagionata…

Ho compreso come non mai, in quel frangente, che il tempo passa per tutti, anche per me, ma ho fatto mio il concetto che se non posso fermarlo, il tempo, almeno posso arricchirlo: di esperienze, di emozioni, di rievocazioni e di tanto altro. Certo, possiamo dare corpo al passato con i ricordi, rivivere le stesse emozioni di un evento di alcuni anni fa tramite le foto o come ho fatto io, rivedendo i vecchi film; anche la musica è una agevole porta temporale. E si, anche io mi sono posta la domanda: e se potessi tornare indietro nel tempo, dove mi piacerebbe andare? Certamente mi sarebbe piaciuto sedermi alla tavola rotonda di Re Artù e conoscere Mago Merlino, certamente avrei voluto passare i pennelli a Michelangelo mentre dipingeva la Sibilla Delfica e certamente avrei voluto passare un pò di tempo sdraiata di notte sotto al cielo del periodo jurassico, non per diventare la cenetta di un dinosauro ma per godermi le stelle: prima della nostra comparsa e di tutto l’inquinamento luminoso che ci portiamo appresso, il cielo notturno a quei tempi doveva essere davvero uno spettacolo da togliere il fiato.

Ma se ci finissi contro la mia volontà, nel passato? Questo è quello che accade al medico Nicola Montesano il quale si risveglia suo malgrado nel 1230 a Nicosia, con un tablet e una pistola carica. Viene accolto nella famiglia di Mondo dove protetto da una insperata amicizia deve innanzitutto cercare di essere credibile anche se indossa dei vestiti perfettamende adeguati per l’epoca nonostante abbiano l’etichetta made in China e tentare con ogni mezzo di sopravvivere grazie alla pistola, certo, che gli salverà la vita un paio di volte, ma soprattutto dovrà riuscire far buon uso di tutto il sapere che l’umanità ha accumulato nella sua evoluzione racchiuso nel Tablet.

Le atmosfere di questo libro mi ricordano quelle scritte da un maestro, Michael Crichton, nel suo romanzo Timeline, sia per la bravura dell’autore Giancarlo Messina nel portarci nella Sicilia di Federico II, sia per il ritmo incalzante degli avvenimenti cui Nicola deve far fronte e nel sorprenderci della padronanza degli usi e costumi di quei tempi antichi e, ultimo ma non di meno, della capacità di renderci partecipi della conoscenza che Nicola attinge a piene mani dai file del tablet.

Spero di avervi sedotto a sufficienza nel suggerirvi questa lettura. Tradurre l’empatia di lettrice a quello di scrivana è il mio modo di condividere con voi la sintonia suscitata da queste pagine. Il protagonista usa in modo arguto il sapere unito alla sua professione (ai giorni nostri Nicola è un medico) per aiutare i suoi nuovi amici, per salvare più volte le persone che chiedono il suo aiuto dalle malattie a quei tempi incurabili, per salvarsi (!!) dal fastidio di pidocchi e cimici e ne crea un businnes che gli permetterà di vivere agiatamente, al salvare la vita al figlio di un Barone.
Quello che mi ha colpito è la scelta etica dell’uso che ne fa il protagonista di tutta questa conoscenza, e la differenza tra l’uso che decide di farne, rispetto a quello che ne farebbe la persona che vuole impossessarsi del suo tablet e di tutto il potenziale potere che contiene… e mi fermo per non spifferare troppo.

In questo momento, adesso, anche noi siamo sottoposti alla medesima scelta etica: quello che conosciamo, tutto il nostro sapere accumulato nei giorni che abbiamo vissuto, scegliamo sempre come impiegarlo, anche se non ce ne rendiamo conto, e possiamo tenere ben pulito il nostro lato della strada, quei luoghi che percorriamo come viaggiatori del nostro tempo ed essere di supporto alle persone che il destino mette sulla nostra strada, come Mondo e come tutte le altre persone che Nicola aiuta con il suo sapere.

Guardandoci indietro, volgendo lo sguardo alle nostre esperienze passate, cosa vedremo?

per BookAvenue, Marina Andruccioli


Il libro

Giancarlo Messina,
Il viaggiatore Oltre il Velo del tempo,
Autoprodotto,
pp.486 ed.2023


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Il Grand Tour di Oscar Wilde in Italia

Posted By Francesca Lombardi On In Elzeviri,Terre | No Comments

di Francesca Lombardi

Oscar Wilde, autore di Il ritratto di Dorian Gray, intraprese il Grand Tour in Italia alla scoperta dell’arte italiana. Fece tappa a Firenze, Bologna, Venezia, Padova, Verona e Milano.

Il Grand Tour iniziò nell’estate del 1875 quando era uno studente a Oxford. Quell’anno fu la prima occasione di soggiornare in Toscana. Una lettera scritta al padre Sir William Wilde del 15 giugno 1875, racconta il suo soggiorno a Firenze.*

Oscar Wilde racconta della sua visita a San Lorenzo e ne dà un’ampia descrizione. Nella lettera descrive la basilica, costruita alla solita maniera fiorentina, cruciforme con una lunga navata sostenuta da colonne greche, che ha una sontuosa cupola in centro e tre navate minori che se ne distaccano. Dietro ci sono le due cappelle Medicee. Sopra i sarcofagi le statue dei Medici, di bronzo dorato.

La visita prosegue alla Biblioteca Laurenziana, nel chiostro di San Lorenzo, dove ebbe modo di vedere dei messali miniati che gli piacquero molto. Racconta di aver visto anche manoscritti e autografi illeggibili. Ne osservò l’estrema nitidezza delle iniziali nei messali e nelle Bibbie Italiane.

Wilde visitò anche il Museo Etrusco, nel soppresso monastero di Sant’Onofrio dove si trovano vari sarcofagi, ne fece anche degli schizzi, la tomba di una donna, una statua che raffigura la donna vi è posta sopra, tiene un piatto in mano con l’obolo per pagare il traghettatore dello Stige. Ai lati dei sarcofagi che erano centocinquanta, lo riporta Wilde, sono scolpiti gesti e imprese del defunto, in bassorilievo, ma ce ne erano anche di affrescati, vasi e urne di ogni forma tutti dipinti in modo mirabile. Wilde resta affascinato da ciò che vede, bloccato da un temporale come scrive nella lettera, si era dovuto trattenere nel museo, tempo che gli aveva consentito di godersi la visita e di disegnare ciò che ha visto. Rimase colpito dalla sensibilità e capacità artistica del popolo etrusco, come scrive al padre.

Nella serata aveva cenato al ristorante in cima a San Miniato, dal quale si gode di una vista panoramica della città.  Durante il ritorno a casa aveva apprezzato l’aria fresca, grazie al temporale del pomeriggio. 

Esiste un itinerario turistico dei giorni nostri, sui luoghi che Wilde visitò a Firenze. Vi segnalo il link per chi fosse interessato a un itinerario diverso dal solito nella città d’arte:

https://www.visittuscany.com/it/itinerari/sulle-orme-di-oscar-wilde-a-firenze/ [13]

Lasciata Firenze con rimpianto come scrive nella lettera a Lady Wilde del 23 giugno 1875, parte in treno alla volta del nord. Rimane stupito dalla estesa pianura coltivata come un ricco giardino. Descrive bene il paesaggio che trova a quattro miglia da Venezia che vede diverso e che gli appare come una palude nera. Giunto a Venezia, i gondolieri lo accompagnano per lunghi e stretti canali all’albergo nella enorme piazza di San Marco. 

Nella lettera del 24 e 25 giungo sempre a Lady Wilde, ha un tono quasi struggente, comincia scrivendo: “Credo che tu mi abbia lasciato che guardavo la luna da piazza San Marco, a fatica ce ne siamo staccati per tornare in albergo”.

Racconta di come il giorno seguente fosse andato in gondola sul Canal Grande, e di come abbia ammirato i grandi palazzi con enormi gradini sull’acqua, colori meravigliosi dappertutto, finestre con tende a strisce gialle, cupole e chiese di marmo bianco. Fa una sosta per visitare la pinacoteca, che descrive come un’invasione di Tiziani e Tintoretti.

Passa la giornata tra gondole e mercati e la sera assiste al gran concerto e promenade di tutti gli elegantoni di Venezia. Le donne sopra i trenta anni si incipriano i capelli sulla fronte. Fa un commento sulle donne italiane che dopo sposate si sformano, mentre i ragazzi e le ragazze sono più belli. Dice che le donne italiane sono di due tipi il tipo “Titiens” e di un colore olivastro alla “Trebellie-Bettini” che erano primedonne dell’opera lirica in scena a Dublino negli anni sessanta e settanta dell’Ottocento. Wilde “scatta” una fotografia dell’arte del nostro paese sul finire dell’Ottocento. Il Grand Tour all’epoca era una sorta di viaggio di formazione per gli artisti.

per BookAvenue, Francesca Lombardi

*ndr: cit. vedi note libro


Il libro:

Oscar Wilde,
Lettere,
Il Saggiatore editore,
Traduzione e cura di Silvia De Laude e Luca Scarlini,
ed, 2014 pp.1276


altri articoli dell’autore

Libroscopo di Aprile e pulizie cosmiche

Posted By Maga Magò On In Libroscopo | No Comments

Tempi agitati. Le insolite attività del Sole dello scorso mese hanno scombussolato le emozioni di molti. Le energie eruttive della nostra stella scuotono perfino le nostre anatomie: in molti somatizzano emicranie e dolori alle ossa, tanto per dire.
Con il plenilunio del 24 scorso è iniziata una grande pulizia celeste che proseguirà fino a fine Aprile con la Luna piena del 25. Quest’opera di lavaggio cosmico aiuterà le cattive coscienze a fare altrettanto. Vuol dire cambiare strade, mettere in moto nuovi obiettivi. Darsi nà regolata.
Domandatevi come state?, Cosa vi turba? Cosa fare per stare meglio?
Occhio all’eclissi: sprigionerà molta potenza che potrebbe urtare i nervi di molti.
Segno del mese: Toro
Bene: Pesci, Gemelli, Ariete e Cancro.
Gli altri: beh!


Ariete
Due eventi importanti: il giorno 8 Luna nuova in Ariete e l’eclissi totale. Vi aspetta un mese di cambiamenti inattesi, di desideri e progetti che devono andare in porto a qualunque costo. Luna nuova suggerisce obbligo di riflettere prima di agire, cosa per voi insolita.
Venere dal 5 vi tiene sulla corda ma non vi abbandona. Marte a fine mese mese vi dona energia, coraggio e capacità di cogliere al volo le tante occasioni che vi capitano. Ça va sans dire: quando Marte e Venere dimorano nello stesso segno sono guai.
Giornate top: amore il 5, il lavoro il 8
I guai, quelli veri, neanche sapete cosa sono. Leggere per provare

Consigli per gli acquisti:

Virgina Cowles,
In cerca di guai,
Neri Pozza

pollice sù

Toro

il Sole illumina il segno dal 19 con mille novità; con il suo aiuto possono arrivare proposte valide dall’estero o da città lontane dalla vostra. Dal 29 Venere vi distrae dal lavoro e chiama tutta la vostra attenzione. Un mese pieno pieno di cose belle. Credeteci: potete fare qualsiasi cosa.
Giornate top: 19 lavoro, 29 l’amore.

Consigli per gli acquisti:


La medaglietta del Toro, su Amazon.
come da tradizione, il segno del mese non ha bisogno di null’altro.

Gemelli
Dal 10 Giove nel segno: la vita professionale gira l’angolo. Criticare pare essere l’hobby preferito dai colleghi, e per voi giunge l’opportunità di rendere loro quel che meritano: non fate prigionieri. A fine mese si creano nuove alleanze. Dal 3 in amore solo gioie, incontri piacevoli e ritorni di passione. Nel complesso un mese buono ma senza fuochi d’artificio. Giornate top: il 15 lavoro, il 3 l’amore.
Tenete la barra a dritta, mi raccomando.

Consigli per gli acquisti:

David Barrie,
Il viaggio del sestante,
Rizzoli

Cancro
Marte suggerisce più cura all’uso del denaro, in modo da rispettare le severissime regole fissate a inizio anno. Il lavoro non è mai stato bello come ora. Dal 3 Venere illumina la vita sentimentale di chi è in coppia, e regala nuove opportunità alle single. Giornate top: 23 lavoro, 30 l’amore. Non chiedete di più questo mese: avete già molto.
Siate meno intransigenti con una Vergine: ha da fare a casa con le pulizie di primavera; pure voi, dopotutto, avreste bisogno di togliere il disordine che c’è.

Consigli per gli acquisti:

ordine vita

KC Davis,
Tenere la casa in ordine quando la vita è in disordine,
Corbaccio.

Leone
Al momento non pervenuto.
Ha un sacco d’impicci con le donne, e con il lavoro.
Qualcuno l’ha visto in partenza per Marte. Torna a inizio estate, a metà Giugno.
Le donne Leone passeranno un mese da agnelli. Non fatevi mangiare
La salute? Mejo che nunné parlàmo.

Consigli per gli acquisti:
Acquisti? che?

Vergine
Le questioni professionali più complicate vanno prese in considerazione dall’11. Saturno è storto: occhio a chi ha un’attività indipendente. Un mese caotico nel complesso. Andate dal dottore: quel dolore alla schiena va controllato.
Giornate top: 27 lavoro, 28 l’amore.
Tempo di mettere ordine e fare pulizie in profondità.

Consigli per gli acquisti:

Percarbonato di sodio puro 5 Kg smacchiante, sbiancante, igienizzante ecologico,
500 lavaggi
Nei negozi di casalinghi

Bilancia
Luna piena il 25 dalle vostre parti: farà un gran bene averla in casa.
Pronti a superare qualsiasi sfida, compresi i battibecchi con alcuni colleghi che dall’11 Mercurio rende poco collaborativi. Il 3 grazie a Venere inizia un periodo magico in amore che fino ai primi di agosto vi vede protagonisti di storie meravigliose, vecchie e nuove.
Giornate top: 25 lavoro, 3 l’amore.
Cercate di darvi un po’ pace interiore: troppo inquiete. Meglio stancarsi. Fate all’amore.

Consigli per gli acquisti:

La casa di Mattia. Facciamo pulizia!
Consigli e soluzioni per far splendere ogni giorno la tua casa.
Rizzoli

Scorpione
L’intuito potenziato da Nettuno è un’arma vincente: usatela al lavoro per liberarvi una volta per tutte di quel fesso di un Sagittario. Seducenti dal 25 grazie alla Luna piena. Le ragazze, invece, siano attente però a non cadere nella trappola di qualcuno già impegnato.
Giornate top: 23 lavoro, 25 l’amore.
Una Bilancia vi confonde le idee in l’amore. Ma cerca solo una distrazione.

Consigli per gli acquisti:

Laura DeRubeis,
Oltre ogni scelta, la vita è una porta aperta.
Autoprodotto. Su Amazon

Sagittario
Troppo malumore. Calma.
Dal 3 Venere accentua il vostro fascino, ma aumenta anche la tendenza a infatuarvi di persone che vi annoiano presto. Al lavoro, quello scemo di un Bilancia meriterebbe un ceffone.
Giornate top: 25 l’amore; al lavoro nessuna.
La passione per l’arte di un Gemelli vi intrigherebbe ma… meglio sole che un’altra sòla.

Consigli per gli acquisti:

Carolina Traverso,
Semplicemente single,
Mindfuless,
Hoepli

Capricorno
Saturno vi aiuta a essere più disciplinati sul lavoro e Nettuno vi suggerisce come sistemare le finanze. Scegliete bene! Venere vi avvolge in una nube di sensualità: le single trovano l’amore in viaggio, chi è in coppia riassapora la voglia di stare insieme. Molto sesso per tutti. Beati voi!
Giornate top: 30 lavoro; il 18, 20, 22, 24 l’amore.
Carino quell’Ariete!

Consigli per gli acquisti:

ariete, ferroda stiro veriticale

Ariete 4167 Stiratrice Verticale,
Ferro da stiro vapore da viaggio
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Intendevo il ferro da stiro non il ragazzo della porta accanto!

Acquario
Saturno vi invita a dedicare maggiore attenzione alla vostra situazione finanziaria. In ufficio, un superiore approfitta della vostra disponibilità: occhio. L’amore è dolce per tutti ma cercate di sbloccarvi un poco. Chi è in coppia è al centro dei pensieri del partner.
Giornate top: 7 lavoro, 24 l’amore.
L’attrazione che avete per un Ariete è innegabile.

Consigli per gli acquisti:

ariete, ferroda stiro veriticale

Anche voi, come la Capricorno, state facendo confusione.

Pesci
Molta energia nelle vostre giornate lavorative: Marte e Saturno chiedono di mettere la bandierina. Venere dal 3 vi crea qualche “distrazione” in amore. Ditelo ai vostri partner: troppa televisione fa male all’amore.
Giornate top: 21 lavoro, 28 l’amore.
La gelosia di uno Scorpione è insopportabile.

Consigli per gli acquisti:

Romano Templair,
Come ottenere quello che vuoi,
Tecniche nuove.

per BookAvenue, con amore, Maga Magò


altri articoli dell’autore

Ma guarda il Po

Posted By Paola Manduca On In Terre | No Comments

Se scrivessi che questo libro è la versione padana di Cuore di tenebra, l’autrice, imbarazzata, si sentirebbe in dovere di corrispondermi qualcosa in denaro. Ma Un’Argonauta Contromano di Marina Senesi (Ed. Il Sole 24 Ore) è un diario di bordo che ci traghetta dentro quella stessa aria rarefatta evocata dai ritmi fluviali. Il fumo dell’alba, il sole implacabile di mezzogiorno, i colori del tramonto sono suggestioni che si risvegliano leggendo questo libro. E il fiume lo fa sempre, persino il Po. Anche se il mezzo per navigarlo non è il battello Rois de Belges bensì un pedalò giallo di Naviglio Ticinese. Anche se non è un gioco di immaginazione ma un viaggio davvero compiuto.

E’ passato un po’ di tempo. In qualità di inviata di Caterpillar (chi non conosce Caterpillar?), Capitan Senesi intraprende un viaggio in solitaria su un tratto del Po, precisamente da Milano a Senigallia dove si svolge il celebre CateRaduno, per un totale di 28 giorni e 560 km a bordo di un pedalò non truccato, come tiene a ribadire in più punti del libro. Tra l’incoscienza del gesto e i casi della vita – che da soli sono i migliori produttori di aneddoti di sempre – il lettore ride moltissimo nel seguire la cronaca di questo viaggio, che già comincia con un esordio non proprio felice. Perché al momento del battesimo del pedalò, atto doveroso di scaramanzia per ogni partenza su acqua che si rispetti, la bottiglia da sbattere contro la prua non si rompe.

“Stung… Noo, non si è rotta la bottiglia! In diretta su Radio2, Alex Bellini ha impattato una magnum di spumante italiano contro la prua del mio pedalò e la bottiglia non si è rotta! Sento in cuffia Cirri e Solibello che ridono a crepapelle…Stung. Ancora niente. Stung… stung… stung… Mi si gela il sangue nelle vene, rivedo in un attimo tutta la mia vita, ma più che altro rivedo gli ultimi 10 minuti, cioè la telefonata con lo sponsor.
“Mi raccomando, non faccia che non si rompa la bottiglia”
“Ma no, presidente, che dice? Ci mancherebbe…”
“Guardi che rompere una bottiglia al primo colpo è meno facile di quello che sembra: bisogna tenere conto della traettoria, individuare il punto di impatto e poi le bollicine devono poter garantire una pressione sufficiente ad agevolare la rottura, quindi bisogna tenere conto anche della temperatura della bottiglia. Colpisca su un ferro a U o rischia che la bottiglia non si rompa. E guardi che se non si rompe…”
“Ma sììì, stia tranquillo, stia tranquillo…”

(…) Il tempo a nostra disposizione sta per terminare e ancora i bicipiti dell’uomo che ha attraversato a remi l’oceano Pacifico non riescono ad avere la meglio su un Pinot di Pinot”.
Ma mentre ridiamo, dondoliamo insieme all’autrice nella solitudine rarefatta di acqua e alberi, guardiamo attraverso i suoi occhi le sconcezze dell’inquinamento che non ha nessun rispetto né della bellezza, né della preservazione ambientale; conosciamo i suoi compagni di viaggio, quegli italiani finalmente anonimi, curiosi e – me lo si lasci dire – perbene che vivono ai margine del fiume e delle grandi città e che, ascoltandola per radio nei collegamenti quotidiani con Cirri e Solibello, si offrono di accompagnarla per un pezzo del tragitto. E lo stesso Po ci sorprende coi suoi pericoli finemente calcolati eppure sempre imprevisti, e ci culla nel flusso lento delle sue acque che sanno essere anche molto materne, come quando ad esempio lasciano la Senesi tranquilla a godersi il viaggio.

Una volta un’amica mi ha detto: “Sono andata sul Niger che assomiglia spaventosamente al Po”. Non conosco il Niger, ma so che le avventure sono altre, quelle che mollano le prese della paura e della pigrizia e diventano sogni coronati di idee e passioni. Ebbene, questo libro lo è.

per BookAvenue, Paola Manduca


il libro:

copertina libro argonauta contromano di Marina Senesi

Marina Senesi,
Un argonauta contromano,
ed.Il sole 24ore


Come contribuire al declino della democrazia

Posted By Michele Genchi On In Reading room | No Comments

Nel 1932, il giudice della Corte Suprema Louis Brandeis definì i 50 stati americani “laboratori di democrazia”, dove nuove politiche potevano essere incubate, testate e diffuse ad altri stati.

Jacob Grumbach utilizza una massa considerevole di dati per osservare criticamente una nuova diffusa consapevolezza che registra, semmai, il contrario: i governi statali sono diventati, secondo le parole dell’autore, “Laboratori contro la democrazia“: titolo del libro e oggetto della riflessione che segue.

Non invento nulla se dico che per molti osservatori la politica americana è diventata a dir poco imbarazzante. Nell’ambiente profondamente partigiano, oggi sotto gli occhi attoniti del mondo, i governi statali (inteso come West Virginia, Texas, New Hampshire, Ohio, e via-via gli altri) sono spesso dominati da uno dei due partiti nazionali. In teoria, i legislatori a livello statale dovrebbero essere più vicini ai loro elettori-cittadini e quindi più reattivi alle loro esigenze con buone pratiche, di cui l’incipit. In pratica, questo non succede. D’altro canto, gli elettori prestano sempre più progressivamente meno attenzione alle elezioni statali rispetto a quelle di livello federale, consentendo la scelta di candidati scarsamente preparati e più spesso estremisti. È come il cane che si morde la coda; i risultati politici sono sempre più separati dall’opinione pubblica; un esempio calzante, sono i divieti sull’aborto approvati da molti stati l’estate di due anni fa. (ndr.il 2022)

Suggerisce nulla?

Peggio. Poiché gli stati esercitano l’autorità costituzionale sulle regole elettorali, molti di questi, controllati dai repubblicani e intenzionati a sopprimere l’affluenza alle urne degli elettori democratici, sono diventati una minaccia per la democrazia americana in generale.  Grumbach sottolinea che, nell’interesse della democrazia e della giustizia, i ruoli degli Stati e governi locali dovrebbero essere ridotti nel lungo termine. Il federalismo legislativo fa male al loro sistema della demos. Un allarme, questo, anche noi.

Nel corso della generazione passata, i partiti democratico e repubblicano sono diventati, ciascuno a suo modo, formazioni politiche coordinate a livello nazionale. Un po’ come accade da noi dove i partiti a livello regionale contano poco e niente perché tutto si decide nelle direzioni nazionali. D’altra parte, le istituzioni politiche americane rimangono, per loro natura, altamente decentralizzate: potete capire il cortocircuito in essere. Laboratories Against Democracy mostra come i conflitti politici statali fluiscano sempre più attraverso le istituzioni (sub)nazionali della politica statale, con profonde conseguenze per la politica pubblica e la stessa democrazia americana. E’ un fenomeno che in Italia conosciamo bene: la cattiva politica cade a pioggia sul cittadino.

Jacob Grumbach sostiene che, man mano che il Congresso si è bloccato causa la partigianeria dei due schieramenti, i governi dei singoli stati dell’unione, in passato capaci di processi decisionali decisivi per la vita delle persone, siano a loro volta bloccati dai semafori intermittenti della politica nazionale. A dimostrazione di come la democrazia americana sia ferma al palo, l’eventuale vittoria di Trump alle prossime presidenziali, rischia la possibile ritirata degli Stati Uniti dal ruolo di sceriffo globale a guardia delle aree di crisi. In attesa della sua venuta, senza essere blasfemo mentre lo dico, la politica interna e internazionale sono ferme; vedi i finanziamenti e sostegni per l’Ucraina.

Il libro mostra come la sottrazione di politiche nazionali su temi fondamentali, abbia avuto l’ironica conseguenza di rendere la politica nei singoli stati molto variabile tra loro. Ad esempio: i partiti rosso e blu implementano programmi sempre più distinti in aree come l’assistenza sanitaria. Il che vuol dire che l’appendicite nel Texas non è curata come in California e costando diversamente tra gli stati, anche a parità di attività ospedaliera. Per non parlare di diritti delle donne in fatto di maternità o, chessò, scuola e cambiamento climatico. Negli Stati Uniti alcune miliaia di donne sono costrette a spostarsi da uno stato all’altro per abortire perchè in quello di provenienza è un diritto negato. In Italia non stiamo messi meglio: con l’autonomia differenziata votata di recente, stiamo felicemente e molto velocemente andando incontro a disastri come questo.

Le conseguenze, però, non si fermano qui. Attingendo a una ricchezza di dati abbastanza aggiornati sulla politica statale, sull’opinione pubblica, sul denaro in politica e sulla performance democratica, Grumbach traccia come i gruppi nazionali, democratici e repubblicani, ma questi ultimi in particolare, stiano usando le autorità governative statali per sopprimere il voto, modificando i distretti elettorali a ogni cambio della guardia per favorire l’uno o l’altro schieramento -il cosiddetto gerrymander– ed erodere le fondamenta della democrazia stessa.

Finisco. Lettura obbligatoria in questo momento così precario della nostra vita politica, alle prese con la perenne rincorsa al consenso più che “fare” quello che serve al paese, Laboratories Against Democracy rivela come il perseguimento di agende partigiane, intese più per essere contro qualcuno che a favore di tutti, abbia intensificato le sfide che la democrazia americana deve affrontare e si chiede se i governi statali, con mille sistemi diversi di voto, oggi stiano riducendo la misura delle crisi politiche del loro -e nostro- tempo o accelerandole.

Quali esempi per noi?  Come agire politicamente per affrontare le sfide competitive del ventunesimo secolo?

per BookAvenue, Michele Genchi


il libro:

Jacob Grumbach,
Laboratories Against Democracy,
Princeton University Press,
ed.2022, 288 pp


ultimi articoli dell’autore:

Come un battito d’ali

Posted By Marina Andruccioli On In Letture | No Comments

di Marina Andruccioli

Dorothy Canfield Fisher disse che la madre non è una persona a cui appoggiarsi, ma una persona che rende inutile appoggiarsi a qualcuno.
Ma a chi si appoggia una madre, quando la vita ti porta via la cosa che hai di più caro al mondo?
Sembra questa la domanda che aleggia nel nuovo romanzo di Donato Carrisi, L’educazione delle farfalle.
Girando le pagine di questo coinvolgente libro pare di intravedere una filigrana cangiante, la stessa che si rileva osservando e muovendo la vita di ogni genitore: una sorta di paura, un sentore, una inquietudine che riverbera in ogni sguardo, che non passa mai anche se i nostri figli crescono e diventano adulti, che non si pronuncia mai ad alta voce, che resta sullo sfondo del cuore di ogni mamma, che è contro natura, che non vorresti succedesse mai e poi mai.

A chi si appoggia, una mamma, se suo figlio muore?
Serena è una donna in carriera, che rimane incinta di una bambina, non voluta. Etichetta questa situazione come uno sbaffo, una piccola deviazione sul suo percorso, una imprecisione sulla sua esistenza metodica e organizzata: decide quindi di darla in adozione appena sarà nata, perchè quando scopre la gravidanza è troppo tardi per abortire.
Ma le cose, ancora una volta, andranno diversamente da come lei le programma.
E quando Aurora ha sei anni, Serena decide di regalarle una vacanza in montagna, in uno chalet da favola, insieme ad altre bambine. Sette giorni, e poi torni a casa dalla mamma, alla vita di sempre.
E di nuovo, l’esistenza prende un’altra piega, Aurora non tornerà a casa a causa di una tragedia, e la vita di Serena non sarà mai più la stessa.

Ho letto questo libro in ogni momento libero, come succede a molti lettori che vogliono scoprire come
finisce la storia, ma se prima di iniziare avessi dato un’occhiata al testo riportato sull’aletta, sul risvolto della copertina, forse non lo avrei letto affatto: perchè ci sono emozioni legate a doppio filo con la paura che hanno la brutta abitudine di tornare a galla appena abbassi la guardia, o tornano nei sogni mostruosi e nei pianti silenziosi che ti sorprendono appena ti immedesimi in una brutta notizia, e anche se le cose sono andate bene, anche se con il tempo ci riesci a raccontarlo senza che la voce si incrini, anche se dall’incubo sei uscita e puoi abbracciare tua figlia in qualsiasi momento ti venga voglia di farlo.

Per me essere mamma (tra i tanti preziosi valori che incarna una madre) significa anche aiutare i propri figli a trovare la loro forza, ma in uno dei momenti in assoluto più difficili della mia vita, quando con quel piccolo corpicino indifeso tra le braccia mi sforzavo di non cedere alla paura che ci alitava addosso, beh,di forza a cui aggrapparmi per poterla trasmettere io non ne avevo affatto, forse neppure a quella che poteva esserci in quei fantomatici ventun grammi riconducibili al supposto peso dell’anima.
Di quel periodo ricordo solo il dolore, sia mentale che fisico, era come se tutta la mia vita di giovanemadre fosse avvolto in un lenzuolo bagnato, pesante e freddo. E ricordo anche molto chiaramente come ne sono uscita: attingendo a quella meravigliosa risorsa che prende il nome di speranza. La vita è piena di imprevisti, e anche se programmiamo, organizziamo, valutiamo ogni possibile rischio esiste sempre l’imprevedibile, l’accidentale, l’incontrollabile.

Carrisi ci spinge ad aprire quella porta che affaccia su quella scala buia che scende nella più profonda e inconfessata paura di noi genitori e ci sospinge nella vita di Serena, di una madre, alla quale accade di perdere una figlia per una tragedia immane.
Anche se inizialmente si appoggia ad alcol e psicofarmaci per arginare il dolore, la sua forza per reagire le verrà da altri genitori che stanno vivendo lo stesso inferno e dalla vita stessa: perchè in ogni situazione, anche la più lacerante, la fiaccola della speranza è sempre tenuta ben in alto dalla nostra anima, che non si arrende mai, soprattutto se abita dentro al cuore di una madre.
Carrisi tratteggia una donna e una madre, che travolta dal dolore si lascia andare e perde quasi tutto: il lavoro, gli amici, la sua identità di donna in carriera per smarrirsi e poi ritrovarsi grazie al leggero spostamento d’aria provocato da un battito d’ali: le piccole ali da farfalla che sua figlia Aurora indossava l’ultima sera allo chalet.

Terminato il libro ci accorgiamo di aver percorso nuovamente quella scala, ma in senso inverso questa volta. E sul ballatoio non ci accorgiamo di pesare un pochino di più.
D’altronde, ventun grammi si percepiscono appena.

per BookAvenue, Marina Andruccioli


Il libro


L’educazione delle farfalle,
Donato Carrisi
Longanesi
ed.2023, pp.432



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Podcast. Addio, Yankee Bird

Posted By Francesca Schirone On In Podcast | No Comments

“Un posto dove l’impianto di illuminazione più sofisticato del mondo non potrebbe far brillare una band come il piccolo lampadario sospeso sul piccolo palco incastrato nell’angolo posteriore del Conor Byrne Pub di Seattle”. Inizio con l’incipit dell’articolo di Michael Rietmulder (*)sul Seattle Times dedicato alla prossima chiusura del locale. 

A molti non dice nulla, ma parliamo di luoghi sacri del jazz e non solo. Per capirci, qualcosa come il Blues Alley di Georgetown a Washington, non proprio come il Blue Note o il Cotton Club, ma più vicino a locali come il The Village Vanguard o il Cafè Society di New York New York a dirla con Lisa Minelli o, ancora, come suggerisce il mio due di coppia, l’Andy’s Jazz Club a Chicago e da noi, simili, il Saint Louis a Roma, dove toccò la trombetta storta di Dizzy Gillespie  e lo scantinato del Mississippi dove negli anni è successo di tutto in fatto di musica jazz.

C’è chi ha detto New York era la capitale jazz del mondo. Carletto Mingus, Telenio Monk e Manuele Bird sono tutti morti e il loro breve incrocio è stato visto solo da poche persone, una notte altrimenti insignificante in città. Persino l’Open Door, dove i miracoli accadevano frequentemente, è un ricordo, demolito per far posto alla Bobst Library della New York University. La chiusura di un locale jazz è un lutto di tutti.

Credo abbiate compreso la portata.

Quel lumiere antico [32] che ha illuminato le esibizioni dei membri di un numero apparentemente infinito di band e cantautori è destinato a spegnersi alla fine del mese. La chiusura dell’istituzione di Ballard Avenue è prevista per il 31 marzo, così come ha annunciato il proprietario Diarmuid Cullen, regalando al bar irlandese un ultimo giorno di San Patrizio prima di staccare la luce.

La notizia sta facendo il giro del mondo. “Non dovrebbe sorprendere che gli ultimi anni siano stati una sfida, ma anche prima della pandemia i segni erano evidenti”, ha scritto Cullen sulla pagina di Facebook e in una newsletter di lunedì. Dice: “Questo settore sta cambiando. Le abitudini stanno cambiando. Sembra che si sia meno propensi a visitare un vecchio pub polveroso.”

Mentre artisti di ogni tipo hanno calcato l’accogliente palco di quel “vecchio pub polveroso”, Conor Byrne è stato una base di partenza non solo per i cantautori locali, grazie in parte alle lunghe serate domenicali all-night-open in cui gli eroi folk-pop di Seattle come i The Head and the  Heart si sono accocchiati (per dire messi assieme) alla fine degli anni 2000.

Il cantautore e chitarrista co-fondatore degli Head and the Heart, Josiah Johnson, si esibisce da solo al Conor Byrne Pub da un po’. All’epoca, quasi trent’anni fa, JJ era trapiantato dalla California e durante quelle sessioni trovò un pubblico solidale e una comunità di artisti che lo accolse e gli volle bene. In un’intervista, tempo fa, l’ex membro dei H&H, ha ricordato una notte in cui un artista ha aspettato lei sei del mattino per l’ultimo slot a microfono aperto, solo per far chiudere il bar prima di poter salire sul palco. A quel punto si è continuato fuori dal locale. “L’ho portato fuori, e con lui tutto il pubblico e lui ha suonato sulla panchina in strada in acustica”, ha detto Cullen : “Tutti stavano semplicemente zitti ad ascoltare”. (*DNN)

Ci sono stati centinaia di momenti del genere.

L’attuale proprietà ha preso le redini del bar circa 19 anni fa, anche se la loro storia con il pub Ballard risale a molto tempo prima. Il padre di Cullen lavorava al banco del bar quando adottò il nome Conor Byrne all’inizio degli anni ’90. Fino ad allora il bar  aveva , diciamo così, operato come Owl Saloon per 90 anni, secondo il sito web del bar. (per farvi un’idea, visitate il sito [33] di quello di Denver, ancora in attività). È stato uno dei primi bar che Cullen e uno dei suoi soci hanno visitato dopo aver compiuto 21 anni. Abbiamo suonato uno o due spettacoli qui all’inizio della nostra breve carriera musicale”, ha scritto Cullen”.  “Il Conor Byrne Pub era un centro di attività delle nostre vite molto prima che lo possedessimo, e sicuramente ha avuto un ruolo decisivo nella nostra idea di acquistarlo”, ha scritto ancora Cullen. “Ha avuto un ruolo anche nel modo in cui lo abbiamo gestito, e mi piace pensare che abbiamo raccolto una comunità intorno alla scena musicale e fornito un luogo sicuro e accogliente per tutti e, sono certo, un posto dove semplicemente divertirci. Nulla di tutto ciò sarebbe mai stato possibile senza lo staff davvero straordinario   rimasto dietro i banconi del bar tutti questi anni. E a tutti loro siamo davvero molto grati del loro talento e della loro grazia”.

Per quanto riguarda la scena musicale di Ballard, (dal nome della strada), il Conor Byrne Pub ha fatto parte di un gruppo ristretto di bar e locali di Ballard Avenue che ospitavano musica dal vivo accanto alla Sunset Tavern e alla Tractor Tavern dall’altra parte della strada, mantenendo vivo un po’ del “vecchio Ballard”, in un quartiere in piena gentrification, fondamentale trampolino di lancio per gli artisti di Seattle nel loro cammino verso la gloria.

Cito ancora l’articolo di Michael Rietmulder. Annunciando l’imminente chiusura del pub, Cullen sembrava lasciare la porta aperta alla possibilità che un nuovo investitore prenda il controllo della attività. “Il settore cambia; dovremmo farlo anche noi. Ma dopo 19 anni di proprietà e oltre 30 anni di ricordi, non siamo quelli adatti a cambiarlo”, ha scritto Cullen. “Stiamo cercando, e continueremo a farlo, qualcuno che prenda la gestione nella speranza che possa continuare nello spirito del vecchio ma anche ispirare una nuova rinascita… qualcuno che sviluppi un nuovo paradigma che il settore in continua evoluzione richiede”.

Addio Conor Byrne Pub. È stato un privilegio.

Per BookAvenue, Francy Schirone

Fonti:
Michael Rietmulder, CBP announces closure at end of March [34], Seattle Times
Conor Byrne Pub,  Big Announcement [35] Facebook
Il sito ufficiale del Conor Byrne Pub [36]
My Ballard, Conor Byrne close permanently at the end of March [37]
Aaron Washington, Iconic Conor Byrne Pub close…Ending live music era [38], Hoodline
Olalekan Adigum, Ending Era for Seattle’s Music Scene [39], DNN