Banana Yoshimoto, Delfini

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   Tempo di lettura: 10 minuti

copertinaCome si fa a intitolare un libro Delfini? Scrivendo la parola ‘delfini’ nel testo 12 volte (contate)?
Banana, nel 2004, ci aveva fatto un brutto scherzo. Dopo “Il corpo sa tutto”, aveva annunciato: “non scriverò più, basta, mi ritiro”. E invece, non solo da allora ha sfornato altri sei libri, ma nel frattempo ha anche dichiarato di sentirsi pronta per un Nobel per la letteratura. Lei, la vincitrice di premi del calibro del Umitsubame First Novel Prize (un premio così celebre che non ne esiste nemmeno un sito internet) e del Fendissime under 35 nel 1996 per “Lucertola”, ora vuole puntare in alto. E ci prova con questo ultimo sforzo intitolato “Delfini”, del 2006 ma approdato al mercato italiano solo dal 2010.
Lo si propone come libro più brutto del mondo, e presto capirete il perché.

Trama:
Il libro si apre con Kimiko, la protagonista, che ha l’influenza. Ce la descrive come un’influenza forte, virulenta ma niente di così allarmante. Invece a pag. 14 scopriamo che la faccenda era tremendamente seria: Kimiko stava per morire e noi non c’eravamo accorti della gravità. “Nel vortice della malattia, ero sicura di aver annusato l’odore della
morte, l’odore della fine”. Accidenti! Ma andiamo avanti. Kimiko, rinata dopo lo scampato pericolo, rivede Goro, un uomo che le piace ma dal quale non sia aspetta nulla: Goro è fidanzato da anni sempre con la stessa donna, una femmina bellissima e colta dalla quale non si separerà mai. Folgorata dai delfini che vede in un acquario dove i due si danno appuntamento, e complice il richiamo erotico esercitato dai pesci, Kimiko fa sesso con Goro. Ma Kimiko ha paura, paura di legarsi troppo a un uomo che non può avere, perciò decide di allontanarsi da Tokyo e finisce in un tempio, uno strano incrocio tra un consultorio, una comune e un monastero. Siccome la voce cucina non era stata ancora infilata, Banana ce la mette qui: in questo luogo di accoglienza Kimiko trova il suo posto tra i fornelli a preparare da mangiare per tutti (se vi state già annoiando, fate il cortese sforzo di pensare a chi l’ha dovuto leggere tutto). Ma Kimiko a un certo punto va via e si piazza a casa di un suo amico, una villa che dà sul mare. Dovrebbe essere un luogo incantevole e invece no: l’aria che vi si respira è negativa e misteriosa. Una ragione c’è: in soffitta Kimiko scopre animali imbalsamati che, non essendo stati sepolti, impregnano con un alito sinistro di irrequietiezza le mura di quella dimora. Kimiko dà loro degna sepoltura, liberandosi così di quei brutti fantasmi di cani, gatti, procioni e fagiani, ed è proprio in questo momento che scopre, grazie a un’amica dotata di poteri paranormali, che è incinta! Indecisa se dirlo o meno a Goro, alla fine gli confessa il suo stato interessante; tuttavia non chiede nulla al futuro padre, fosse per lei non dovrebbero neanche sposarsi, ma Goro decide di starle accanto sia durante la gravidanza, sia dopo. La relazione con l’altra donna è chiusa e da questo momento in poi i due, con la benedizione dei delfini – “che amano i bambini” – vivono per sempre felici e contenti.


Banana, anche per questo libro, produce due e soltanto due reazioni: l’amore dei suoi fans/le pagine denigratorie dei suoi detrattori. Ma qui vogliamo provare ad andare oltre ed elaborare un’ipotesi credibile di risposta alla domanda sul perché una penna così mediocre sia riuscita a trasformarsi in successo planetario. In altre parole, qui tenteremo un’analisi sulla fenomenologia della Banana.
Banana, ferma ad una consequenzialità logica infantile, semplice eppure piena di contraddizioni, fa entrare il lettore nel liquido amniotico del grado zero di impegno, di complessità, lo mette a letto con la tranquillità di star comunque leggendo un libro. In questo caso come altrove, la trama e i personaggi zompettano in continuazione. Una volta Kimiko è descritta come una che passa inosservata, e la volta dopo come una che vestendo abiti audaci, è continuamente guardata dagli uomini. Una volta è innamorata di Goro, un’altra volta pare che non gliene freghi niente, per non dire del fatto che apprendiamo che Goro e la sua fidanzata storica si sono lasciati nel giro di due righe. La costruzione mentale e linguistica è ferma a uno stadio primordiale di banalità, come quando scrive: “Basta comprendere quali sono le motivazioni che si nascondono dietro un certo comportamento perché i dubbi svaniscano, la nebbia si diradi e il cielo si rischiari”, oppure “E’ fondamentale saper distinguere bene quando gli uomini hanno solo un interesse fisico, perché è un po’ differente dall’innamoramento”. E questo ground zero si vede anche nell’accostamento tra sostantivo e aggettivo: il calore è rassicurante, l’espressione è imbronciata, il pensiero ricorrente e il fascino, naturalmente, misterioso.
Ancora: è scontato che ogni scrittore abbia le sue ossessioni ma qui siamo di fronte a una fissazione a dir poco autistica. I temi sono sempre gli stessi e ogni volta paranormale, sesso, morte, cibo, mal mescolati, producono un impiastro incredibilmente più brutto del precedente. Si può mettere il paranormale dentro un animale imbalsamato la cui anima vaga in attesa di una tomba?


Infine, se nei libri della Yoshimoto c’è il mistero, è anche perché certe volte non si riesce ad afferrare l’oscuro significato di alcuni passaggi.
Esempio numero 1
Distogliere lo sguardo era un atteggiamento infantile, io però sin da bambina sono sempre stata molto suscettibile alle alterazioni dello spazio e del tempo.
Esempio numero 2
Odiavo quando qualcuno cercava di modificare l’atmosfera di un ambiente con la forza, un comportamento che ovviamente accomunava anche gli omicidi, gli stupratori e tutti i grandi criminali.
Esempio numero 3
L’unica cosa che dura davvero sono i singoli rapporti interpersonali, anche se si evolvono in continuazione.
Esempio numero 4
Noi abbracciamo la realtà di cui siamo riusciti a impossessarci per poi unirci in gruppo con i nostri simili. Che è la stessa identica cosa che dire che ognuno di noi abbraccia un sogno di diversa entità.
Ma che significa?
Tuttavia, come si diceva, attaccare la Yoshimoto non è sufficiente, bisogna capirla. E allora sono pressoché certa che la risposta sia nel fatto che il marketing fa miracoli. Che Banana sia la pedina perfetta che si sposta tra chi le ha cucito addosso una riuscitissima operazione commerciale e il bisogno disperato di leggerezza che aleggia nel mondo. Banana, ve lo sveliamo noi, ha dietro un grande agente, col quale deve essere andata più o meno così:
Dialogo tra Banana e il suo agente:
– Ti chiamerai Banana e dirai che lo hai scelto in quanto nome carino e prepotentemente androgino, d’accordo?
– Sì.
– Ripeti.
– Carino e tremendamente ansiogeno.
– No, Banana, prepotentemente androgino.
– Va bene, come vuole lei.
– Oh, poi bisogna crearti intorno il mistero.
– Cioè, non capisco.
– Devi rilasciare pochissime interviste, di modo che nessuno possa accorgersi di nulla, e dire che il tuo regista preferito è Dario Argento. Poi, che da giovane hai lavorato come cameriera in un golf club: chiunque voglia avere un minimo di speranza di successo oggi deve aver fatto il cameriere in un posto insolito, altro che bar e pizzerie.
– Sì, l’ho scritto, golf club.
– Dal… vediamo… 2003, facciamo che ti firmi in hiragana.
– Perché?
– Perché è esotico, ora il Giappone va forte.
– Ah.
– Bene. Quando te lo chiedono, i tuoi scrittori preferiti sono, e sempre saranno, Stephen King, Isaac Bashevis Singer e Truman Capote: due su tre sono morti, è bene saperlo.
– Sì.
– Dì anche “Io appartengo a una generazione che ha letto soprattutto manga, guardato film, ascoltato musica” ma non entrare nel dettaglio. Dì sempre, quando ti chiedono cosa stai leggendo in questo momento, che hai poco tempo per le novità.
– Sì.
– Quando ti chiederanno le solite minchiate su quanta vita reale c’è nel libro e quanto è frutto della tua fantasia, rispondi mischiando random le seguenti espressioni: tempi scintoisti, nel mio paese, elemento, sono molto interessata, futon, amo descrivere, da bambina. D’accordo?
– Sì.
– Quando non capisci la domanda dell’intervistatore, rispondi con: “è una questione generazionale”.
– Ma sono del ’64.
– Non importa, funziona sempre.
– Per fortuna che sei brutta. Vedi Yoko Ono, la bruttezza certe volte è sinonimo di successo.
– Tanto brutta?
– Un mostro.
– Sigh.
– Non piangere Banana, vedrai che farò di te una stella.

(non sono risposte inventate, sono quelle che troverete in ogni intervista dell’autrice disponibile in rete).

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4 commenti

  1. secondo me un libro veramente brutto,squallido,che lascia un senso di tristezza e di rabbia è : “un giorno da cani” di melania mazzucco.
    scusate la schiettezza ma fa veramente schifo!!!

  2. sono alle prese con viaggi.. di banana. ho qualche perplessità a definire questo volumetto un “lbro”, resta tuttavia da comprendere come si faccia a pubblicare ancora banana. mi annoiano da morire i suoi appunti peraltro così vacui, privi di senso ed assolutamente personali mentre lei stabilisce che sono comuni a molti. la regola è non lasciare mai un libro a metà, però qui la tentazione è forte!

  3. Cara Giovanna, trovare appoggi fa sempre bene. Noi siamo più forti di Banana! Quanto a te, Francesca, il tuo ragionamento sull’età non fa una piega: aspetterò di avere 5 secoli prima di leggere Shakespeare.
    Paola

  4. Giovanna e Paola, consentitemelo: voi due non è che state molto bene. Vogliamo dire di una certa stanchezza da superlavoro? Oppure avete bisogno di un aiuto vero, di un bravo medico, per dirla tutta?
    La Yoshimoto è un autrice di culto per la mia generazione (sono dell’85) e capisco che siete over trenta; forse voi due dovreste passare a qualcosa di più facile. Avete provato Liala? Sono certa che trovereste le sue storie davvero, davvero fantamagoriche con quel dolce suonar di violini in riva al mare un tardo pomeriggio d’estate. Curatevi, mi raccomando!

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