Una catastrofe autoinflitta. Intervista a Jonathan Safran Foer sui cambiamenti climatici

copertina libro Foer, Possiamo salvare il nondo prima di cena
   Tempo di lettura: 24 minuti

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“Dobbiamo fare qualcosa“. Jonathan Safran Foer ha ripetuto questo mantra con frequenza e intensità crescenti negli ultimi anni, soprattutto i più recenti. Il suo civismo è emerso con ferma autorevolezza in risposta alle correnti questioni sociali americane come, per esempio, alle famiglie separate al confine messicano, altre volte per controllo delle armi, ma più spesso i suoi interventi hanno riguardato il cambiamento climatico.

Nel suo ultimo libro: Possiamo salvare il mondo primadicena, uscito recentemente per Guanda in Italia prima che negli USA racconta, a un certo punto, che la faccenda del cambiamento climatico e delle ricadute sulla pelle delle persone era per lui diventata intollerabile. Foer confessa cosa pensava di sapere sulla crisi ambientale e cosa gli individui potevano fare a riguardo, limitandosi però alle: 1) cannucce di plastica = cattive 2) riciclaggio = buono.  Ha compreso, proprio a quel certo punto di avere  bisogno di sapere più compiutamente e in maniera strutturata cos’era il cambiamento climatico e come funzionasse.

Iniziò a fare ricerche e trovò un pezzo del puzzle sui cambiamenti climatici che gli era sfuggito, anche dopo aver pubblicato il suo libro: Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?, >un saggio sulla sofferenza degli animali nel modo con cui l’industria alimentare produce allevamenti massivi.  “Non sappiamo con certezza se l’agricoltura animale è una delle principali cause dei cambiamenti climatici o la principale causa dei cambiamenti climatici“, aggiunge, “Sappiamo per certo che non possiamo affrontare i cambiamenti climatici senza occuparci dell’agricoltura animale“.

Alcune persone respingono il fatto, ampiamente supportato dagli scienziati, che il nostro pianeta si sta riscaldando a causa dell’attività umana; ma quelli di noi che accettano la realtà del cambiamento climatico causato dall’uomo ci credono davvero? Se lo facessimo, saremmo sicuramente stimolati ad agire su ciò che sappiamo. Le generazioni future si distingueranno tra chi non ha creduto nella scienza del riscaldamento globale e quelli che hanno affermato di aver accettato la scienza ma non sono riusciti a cambiare la propria vita.

In We Are the Weather… (ndr. Il titolo originale), Jonathan Safran Foer esplora il dilemma globale centrale del nostro tempo in un modo sorprendente, pacato, profondamente personale e urgente. Il compito di salvare il pianeta comporterà una grande resa dei conti con noi stessi, con la nostra riluttanza fin troppo umana a fare sacrifici immediati per il bene del futuro. Rileva come abbiamo trasformato il nostro pianeta in una fattoria per la coltivazione di prodotti animali le cui conseguenze sono catastrofiche. Solo un’azione collettiva salverà la nostra casa ma solo con un nuovo patto con la terra sui nostri stili di vita. E tutto inizia con ciò che mangiamo – e/o non mangiamo – a colazione.

Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), il bestiame è responsabile del 14,5 percento delle emissioni globali di gas serra indotte dall’uomo per non parlare delle emissioni di elettricità e calore, trasporto e produzione, secondo il World Resources InstituteHo fatto quella ricerca, e poi ho iniziato a pensare a ciò che è potevo fare io“, ha detto l’autore.  A tal fine, Foer lancia un messaggio affinché che tutti mangino meno carne ma anche uova e prodotti lattiero-caseari; insomma: qualsiasi prodotto animale che abbia un’impronta ecologica significativa. La sua proposta: astenersi dai prodotti di origine animale per i primi due pasti della giornata (ndr: colazione e pranzo, per capirci ), in tal modo, calcola, il pianeta risparmierebbe 1,3 tonnellate di emissioni di CO2e per persona all’anno (dei 7.516 milioni di tonnellate di emissioni di CO2e che la FAO stima che il bestiame produca all’anno). “Non possiamo continuare a mantenere il livello di pasti che abbiamo conosciuto fin qui e sperare ancora di mantenere il pianeta alla stessa maniera

BookAvenue, dopo molte insistenze e decine di mail prima, e di un paio telefonate nel cuore della notte alla Nicole Aragi Agency che cura gli interessi dell’autore dopo,  è riuscita a fare qualche domanda e scambiare qualche opinione con Foer in occasione dell’uscita di We Are the Weather. Saving the planet before the breakfast (il titolo originale suggerirebbe una colazione non una cena!, evidentemente gli editor di Guanda hanno avuto ottime ragioni per cambiare il titolo originale..). Secondo Foer non bisogna attendere che siano i governi ad agire, il cambiamento deve essere individuale. Lo scrittore statunitense rileva come anche l’amministrazione Obama sia stata deludente sul fronte ambientale, mentre per quanto concerne il suo attuale presidente si sta vivendo un vero e proprio paradosso: “La cosa buffa di Trump è che è diventato il miglior sostenitore della lotta ai cambiamenti climatici, ancor più di Greta Thunberg! Il suo atteggiamento e le sciocchezze (ndr. l’autore ha usato un termine poco traducibile) che va raccontando, hanno creato una tale reazione, da risvegliare persino le persone che erano meno interessate a questo tipo di problemi. Verrebbe quasi da ringraziarlo per come ha saputo dare nuova vitalità al movimento ambientalista!”.

 

MG. Il principio fondamentale del tuo libro è una proposta per ridurre i consumi dei prodotti animali, inclusi latticini e uova, da colazione e pranzo. Da dove è venuta questa idea?

 

JSF. Uno studio pubblicato uno studio sulla rivista Nature alla fine del 2018 affermava che, mentre le persone che vivono in aree denutrite potevano permettersi di mangiare un  po’ più di carne e prodotti derivati dal latte, le persone che vivono in luoghi come il Regno Unito e gli Stati Uniti devono ridurre il consumo di carne del 90% e dei prodotti lattiero-casearii del 60%. Quando ho finito di leggerlo ho pensato: sono d’accordo ma non so esattamente come fare. Non voglio stare a contare le calorie ai pasti e non voglio essere costretto a tenere un diario di ciò che sto mangiando. Non lo considero sostenibile sul lungo periodo. Ho cercato di conseguenza a pensare a un compromesso che mediasse tra ciò che avevo letto e quello che sarebbe stato possibile fare. Ed è l’equilibrio che ho trovato.

Non tutti abbiamo bisogno dello stesso piano alimentare. Il mio potrebbe pure non essere il migliore per me. Non c’è nulla di rigido in questo piano, ma c’è qualcosa di molto rigido nell’idea che dobbiamo fare alcune cose diversamente. È molto difficile fare queste cose se non ne siamo convinti. Funziona bene se hai qualcuno che ti controlli, un partner o un testimone – è molto più facile che farlo da soli. Naturalmente parlo per me, sono convinto che se condividi una lotta, un processo o un piano d’azione con qualcuno che significhi molto per la tua vita, può essere più stimolante e sostenga la voglia di iniziare. Questo è un lungo modo per dire come sono arrivato a questa idea attraverso quella ricerca scientifica. Alla fine, però, rimane solo un’idea.

MG. Chi speri di raggiungere e convincere con questa idea?

JSF. Tutti spero ma non so esattamente quanti potrò raggiungere.  Poni la domanda in modo diverso: chi speri mangerà meno carne? Il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ha pubblicato in agosto un nuovo rapporto in cui si afferma che se anche facessimo tutto il resto delle prescrizioni in fatto di difesa ambientale, non possiamo raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi senza mangiare drasticamente meno carne. Questo è il punto di partenza e la domanda è: lo ignoriamo?  Lo prendiamo sul serio? Come? E’ sperabile che faremo tutti ciò che deve essere fatto? Quando cominciamo?

Solo un paio di anni fa, avrei trovato difficile immaginare quello che accade, lo dico perché ignoravo la portata del problema, ora sono consapevole che le cose ora sono davvero cambiate in peggio. Come per me c’è anche, specialmente tra i giovani, una decisa consapevolezza che: a) abbiamo bisogno di mangiare meno carne e b) ciò non significa che tutti abbiamo bisogno di avere identità diverse o tutti abbiamo bisogno di diventare vegani o vegetariani.

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MG. Leggo da Nature, di quelle produzioni di carne a base vegetale di massa. Immagino che da voi ce ne sia già molta in giro: ritieni sia un passo nella giusta direzione verso il raggiungimento di questo obiettivo di far mangiare meno carne alle persone?

JSF. Può essere contributivo ma non ne conosco la dimensione, tuttavia credo non sia più salutare. Prima di tutto, non so se le persone che mangiano hamburger siano così ossessionate dalla salute. Non è esattamente questo il punto. Il punto per la maggior parte delle persone è che l’hamburger è relativamente conveniente, disponibile, gustoso e, in fin dei conti, è cibo. È come quando la gente dice che il cibo vegetariano è per pochi solo perché stai chiedendo alla gente di comprare epreparare cibi notoriamente più cari  invece che un hamburger di McDonald’s pronto da mangiare. Da questa parte (ndr.si riferisce agli USA), si sta tentando di sostituire il Whopper (ndr. un hamburger molto famoso come il Cheeseburger della McDonald) con uno vegetale; faranno davvero un ottimo lavoro se avrà un sapore il più simile alla carne man mano che sarà migliorata la produzione. Converrai con me che è  inequivocabilmente meglio per l’ambiente e, naturalmente, per gli animali. Penso che giocherà un ruolo importante nel ridurre la quantità di carne che le persone mangiano.

MG. Ho letto di recente che hai partecipato a un famoso spettacolo televisivo (ndr. Il Ben Shapiro show è un po’ comeChe Tempo che fa” di Fazio) per discutere di questo libro e di queste idee. Durante quell’intervista, hai detto che cercare di convincere la gente a ridurre la carne da una prospettiva ambientale è meno convincente che affrontarla da una prospettiva etica o sanitaria. Stai scoprendo cosa?

JFS. Intendi che lo sto trovando nel mio modo di pensare, o lo sto scoprendo nel modo con cui ora guardo la mia alimentazione?

 

MG. Entrambi.

JSF. Secondo me: no, non proprio. Non volevo scrivere un libro che riguardasse la carne. Volevo scrivere un libro sui cambiamenti climatici. Come ho detto nel libro, non è che mangiare meno carne salverà il pianeta, ma non possiamo salvare il pianeta senza mangiare molta meno carne.

Quando ho iniziato a fare ricerche sulle cose che un individuo, una persona qualunque intendo, che non ha una reale capacità di influenzare la politica può fare, tutto ciò che ho letto, e tutti quelli con cui ho parlato concordano sul fatto che ci sono quattro cose che contano in modo significativo di più di tutto il resto: mangiare meno carne, avere meno bambini, vivere senza macchina e volare di meno.

Tre di queste cose sono davvero complicate. La maggior parte delle persone non sta decidendo se avere o meno un figlio in un dato momento, non fosse altro perché è  una aspirazione biologica di tutti; secondo: la maggior parte delle persone ritiene che sia quasi impossibile non guidare perché i loro lavori dipendono da quanta strada devi fare per andarci o vivono in città. Penso a dove vivi: la questione di Roma è famosa anche qui;  in generale alcune città richiedono l’uso dell’auto quale che sia la condizione per la quale sei costretto ad usarla. Del resto, è come il sottoscritto che è vola da una parte alla l’altra del paese per parlare di questo libro. Posso testimoniare che volare spesso sembra necessario – non per piacere, ma semplicemente per fare qualcosa.

Il cibo è diverso a causa di quanto vincolate siano le nostre scelte, e anche perché è l’unica di quelle quattro cose che si rivolge nella maggior parte dei casi al metano e protossido di azoto, per essere prodotto.  Il Gas serra è la più maledettamente urgente questione da affrontare.

Penso anche che l’argomento contro il consumo di tanta carne di allevamento sia un valore condiviso. Alcune persone potrebbero essere più attratte dalla causa di contributo al benessere degli animali e altre potrebbero essere più attratte dalla causa del clima. Non credo che ci sia qualcuno che non sia attratto da uno degli argomenti.

Non esiste un valore più universale di quello di proteggere gli animali dalla crudeltà. E, mettendo da parte i leader del mondo libero, in America ci sono pochissimi negazionisti del clima. Non sono il problema. Se hai letto o ascoltato la mia intervista con Ben Shapiro, l’hai sentito dire che il pianeta si scalderà tra i due e i sei gradi nel prossimo secolo a causa dell’attività umana. E’ una ragione di per se sufficiente per guardare con spavento ai cambiamenti climatici.

Condividiamo questo valore e muoviamoci nella stessa direzione. Forse ci sposteremo a velocità diverse. Forse i nostri percorsi non saranno più gli stessi, ma siamo d’accordo sul punto di partenza.

MG. Nel tuo libro scrivi che abbiamo bisogno di decisi cambiamenti strutturali e che nessuna azione individuale potrebbe risultare sufficiente per cambiare il mondo. Qual è la tua risposta all’argomento secondo cui concentrarsi troppo sulle singole azioni oscura o rende ancora più difficile effettuare cambiamenti strutturali, come la riforma delle politiche o il tentativo di colpire l’industria dei combustibili fossili?

JSF. Direi che abbiamo bisogno di cambiamenti sia strutturali che modifiche comportamentali individuali, quindi iniziamo con entrambi. A volte quando le persone dicono che non dovremmo enfatizzare la responsabilità dell’individuo perché è un problema sistemico, suona un po’ come una giustificazione per non fare uno sforzo per cambiare, quando sappiamo che quel cambiamento è utile e necessario. Molte volte sono le stesse persone che non vogliono che i loro stili di vita siano modificati o, peggio, sottratti.

Ancora più importante: un importante o significativo cambiamento strutturale non sta ancora avvenendo. Questo è un vero nodo. Ciò che penso stimolerebbe il cambiamento è se le persone rendessero ovvio che non è solo la loro priorità, o se disposti a prendere maggiore consapevolezza delle proprie azioni. Le grandi corporate del cibo vendono ciò che la gente compra. Gli agricoltori coltivano ciò che la gente mangia. I politici fanno ciò che la gente vuole, altrimenti alla fine non vengono eletti. Riesci a immaginare un boicottaggio mondiale di carne bovina per una settimana in risposta agli incendi dell’Amazzonia?

Infine, non può far male. Questo è l’altro modo di vedere la questione. Apportare questi cambiamenti nella nostra vita non può far male. Può solo aiutare.

 

MG. Questo libro alla fine si presenta come un lavoro piuttosto ottimistico in un certo senso, sembrerebbe, quasi l’opposto del tono disfattista che alcune persone hanno trovato e criticato nel recente libro di Jonathan Franzen, The end of the end of the world. (ndr. trad Einaudi, La fine della fine del mondo) Hai letto quel saggio?

Non conosco nessuno che abbia a cuore l’ambiente più di Jonathan Franzen. È davvero appassionato, è genuino. Mi sono spesso trovato a fare quello che penso lui già abbia fatto, cioè andare su un binario e andarci fino all’estremo. Tuttavia sì, Il mondo non finirà. Non moriremo tutti. Non tutte le specie si estingueranno. Ciò che sta accadendo ora è che stiamo subendo una perdita davvero profonda. Ci sono cose, come ha ben rilevato, che abbiamo già perso e non possiamo tornare indietro.

Ma dove atterriamo, con lo spettro della perdita, conta davvero e sento che quelle pagine sono una nota di speranza. Ha quasi indebolito l’argomentazione più ampia che sembrava sollevare: che ciò che facciamo in termini di comportamento come individui, paesi e come globo determinerà l’entità della perdita che sperimenteremo e/o subiremo. Il mondo non guarda abbastanza alle conseguenze se è distrutto il 30 o l’80 percento dell’Amazzonia. Non guarda a quante centinaia di migliaia di specie si estinguono fin d’ora. Non guarda a quanti anni sono erosi dall’aspettativa di vita. Non guarda quanti bambini muoiono per siccità climatiche o malattie causate del clima. Non guarda quante città sono rese inabitabili. Tutte queste cose contano.

Detto questo, mentre costruiamo l’idea di che cavolo è il mondo ora, pensiamo che può ancora essere molto difficile agire. Per me, la cosa più importante è iniziare. Una volta che inizieremo, accelereremo: un oggetto in movimento tende a rimanere in movimento. Siamo stati troppo tempo a riposo senza modificare il nostro codice comportamentale invece che lavorare contro la perdita ambientale.

MG. Immagini – o speri – che la cosa che ci farà iniziare ad accelerare sia questo libro o secondo te c’è qualcos’altro che ci farà affrontare la realtà della crisi climatica?

JSF. Non sarà una cosa sola. Penso servino un accumulo di cose. Cose diverse toccano persone diverse in modi diversi, quindi alcune persone potrebbero leggere un libro o vedere un film e iniziare a pensarci, e altre potrebbero avere una conversazione con un amico o un familiare. Per alcune persone, come me, può non essere niente del genere: è diventato intollerabile, a un certo punto, assistere alle cronache del quotidiano disfacimento ambientale e rimanere fermo senza fare nulla.

Guardare parlare Greta Thunberg mi ha davvero turbato. La sua testimonianza è una grande parte di ciò che fa sentire intollerabile quello che accade, forse perché ho figli, e mi sentivo come se stessi guardando i miei genitori i quali mi hanno lasciato il mondo meglio di come è adesso. Non sarei tornato a fare tutto come prima. Questo è il trucco. Essere mossi da qualcosa per salvare il pianeta può essere semplicissimo. È difficile, e molto, cambiare il modo in cui viviamo da molto tempo, invece.

MG. Nel tuo libro confessi che sei stato vegetariano a corrente alternata per dirla con il nostro slang, on/off con il tuo, sin da quando eri giovane ma, come scrivi, hai completato il tuo libro anche come una sorta di scadenza personale per tagliare i prodotti di origine animale dalla tua alimentazione o per dirla con il titolo del tuo libro, da colazione e pranzo.Qualipensisianoi benefici attesi da questa scelta?

JSF. In un certo senso, non sarà diverso se non si comincia davvero. Tutto quello che posso dire è che provo un diverso senso di responsabilità, provo un diverso grado di preoccupazione. Sono un po’ più grande, forse ne so un po’ di più, e questo è utile.

Ho anche accumulato un po’ più di esperienza con il cambiamento alimentare e i modi in cui si può star meglio. È qualcosa di cui non si parla tanto. C’è questa idea sciocca della persona a impatto zero secondo la quale tutti noi dobbiamo diventare dei martiri, o quasi tali, bere Soylent (ndr. pasto sostitutivo liquido) e camminare, camminare, camminare e, possibilmente, evitare di volare per fare le vacanze in famiglia. In effetti, la moderazione può stare davvero bene, ma serve consapevolezza non il martirio. Hai mai avuto l’esperienza di dire di no a qualcosa che volevi  mangiare a causa di un valore che hai? Se pensi alla migliore bistecca che tu abbia mai mangiato in vita tua, il piacere di mangiarla finisce davvero quando ingoi l’ultimo boccone. E’ così che funziona il cibo.

Pensa però al piacere di fare una cosa in cui credi al prezzo di rinunciarvi: non è così immediato, e non è così primitivo, ma penso che sia un tipo più profondo di piacere, e si mantiene per molto più tempo che consumarlo addentando la carne. Il piacere del cibo deve essere costantemente riempito perché si svuota alla fine di ogni pasto, ma il piacere di sentirsi bene con le proprie scelte rimane a lungo. Credimi.

MG. Sono assai felice di essere riuscito a scambiare qualche parola con te.  Ti ringrazio a nome dei molti lettori di BookAvenue che avranno il piacere di leggerti.

JSF. Grazie a te per questo inusuale contatto. Ma non più di tanto, in fondo. Saluto voi.


 Il libro:

copertina libro Foer, Possiamo salvare il nondo prima di cena

Jonathan Safran Foer,
Possiamo salvare il mondo prima di cena,
Guanda.

 

 


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