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Come un battito d’ali

di Marina Andruccioli

Dorothy Canfield Fisher disse che la madre non è una persona a cui appoggiarsi, ma una persona che rende inutile appoggiarsi a qualcuno.
Ma a chi si appoggia una madre, quando la vita ti porta via la cosa che hai di più caro al mondo?
Sembra questa la domanda che aleggia nel nuovo romanzo di Donato Carrisi, L’educazione delle farfalle.
Girando le pagine di questo coinvolgente libro pare di intravedere una filigrana cangiante, la stessa che si rileva osservando e muovendo la vita di ogni genitore: una sorta di paura, un sentore, una inquietudine che riverbera in ogni sguardo, che non passa mai anche se i nostri figli crescono e diventano adulti, che non si pronuncia mai ad alta voce, che resta sullo sfondo del cuore di ogni mamma, che è contro natura, che non vorresti succedesse mai e poi mai.

A chi si appoggia, una mamma, se suo figlio muore?
Serena è una donna in carriera, che rimane incinta di una bambina, non voluta. Etichetta questa situazione come uno sbaffo, una piccola deviazione sul suo percorso, una imprecisione sulla sua esistenza metodica e organizzata: decide quindi di darla in adozione appena sarà nata, perchè quando scopre la gravidanza è troppo tardi per abortire.
Ma le cose, ancora una volta, andranno diversamente da come lei le programma.
E quando Aurora ha sei anni, Serena decide di regalarle una vacanza in montagna, in uno chalet da favola, insieme ad altre bambine. Sette giorni, e poi torni a casa dalla mamma, alla vita di sempre.
E di nuovo, l’esistenza prende un’altra piega, Aurora non tornerà a casa a causa di una tragedia, e la vita di Serena non sarà mai più la stessa.

Ho letto questo libro in ogni momento libero, come succede a molti lettori che vogliono scoprire come
finisce la storia, ma se prima di iniziare avessi dato un’occhiata al testo riportato sull’aletta, sul risvolto della copertina, forse non lo avrei letto affatto: perchè ci sono emozioni legate a doppio filo con la paura che hanno la brutta abitudine di tornare a galla appena abbassi la guardia, o tornano nei sogni mostruosi e nei pianti silenziosi che ti sorprendono appena ti immedesimi in una brutta notizia, e anche se le cose sono andate bene, anche se con il tempo ci riesci a raccontarlo senza che la voce si incrini, anche se dall’incubo sei uscita e puoi abbracciare tua figlia in qualsiasi momento ti venga voglia di farlo.

Per me essere mamma (tra i tanti preziosi valori che incarna una madre) significa anche aiutare i propri figli a trovare la loro forza, ma in uno dei momenti in assoluto più difficili della mia vita, quando con quel piccolo corpicino indifeso tra le braccia mi sforzavo di non cedere alla paura che ci alitava addosso, beh,di forza a cui aggrapparmi per poterla trasmettere io non ne avevo affatto, forse neppure a quella che poteva esserci in quei fantomatici ventun grammi riconducibili al supposto peso dell’anima.
Di quel periodo ricordo solo il dolore, sia mentale che fisico, era come se tutta la mia vita di giovanemadre fosse avvolto in un lenzuolo bagnato, pesante e freddo. E ricordo anche molto chiaramente come ne sono uscita: attingendo a quella meravigliosa risorsa che prende il nome di speranza. La vita è piena di imprevisti, e anche se programmiamo, organizziamo, valutiamo ogni possibile rischio esiste sempre l’imprevedibile, l’accidentale, l’incontrollabile.

Carrisi ci spinge ad aprire quella porta che affaccia su quella scala buia che scende nella più profonda e inconfessata paura di noi genitori e ci sospinge nella vita di Serena, di una madre, alla quale accade di perdere una figlia per una tragedia immane.
Anche se inizialmente si appoggia ad alcol e psicofarmaci per arginare il dolore, la sua forza per reagire le verrà da altri genitori che stanno vivendo lo stesso inferno e dalla vita stessa: perchè in ogni situazione, anche la più lacerante, la fiaccola della speranza è sempre tenuta ben in alto dalla nostra anima, che non si arrende mai, soprattutto se abita dentro al cuore di una madre.
Carrisi tratteggia una donna e una madre, che travolta dal dolore si lascia andare e perde quasi tutto: il lavoro, gli amici, la sua identità di donna in carriera per smarrirsi e poi ritrovarsi grazie al leggero spostamento d’aria provocato da un battito d’ali: le piccole ali da farfalla che sua figlia Aurora indossava l’ultima sera allo chalet.

Terminato il libro ci accorgiamo di aver percorso nuovamente quella scala, ma in senso inverso questa volta. E sul ballatoio non ci accorgiamo di pesare un pochino di più.
D’altronde, ventun grammi si percepiscono appena.

per BookAvenue, Marina Andruccioli


Il libro


L’educazione delle farfalle,
Donato Carrisi
Longanesi
ed.2023, pp.432



altri articoli dell’autore


Podcast. Addio, Yankee Bird

Posted By Francesca Schirone On In Podcast | No Comments

“Un posto dove l’impianto di illuminazione più sofisticato del mondo non potrebbe far brillare una band come il piccolo lampadario sospeso sul piccolo palco incastrato nell’angolo posteriore del Conor Byrne Pub di Seattle”. Inizio con l’incipit dell’articolo di Michael Rietmulder (*)sul Seattle Times dedicato alla prossima chiusura del locale. 

A molti non dice nulla, ma parliamo di luoghi sacri del jazz e non solo. Per capirci, qualcosa come il Blues Alley di Georgetown a Washington, non proprio come il Blue Note o il Cotton Club, ma più vicino a locali come il The Village Vanguard o il Cafè Society di New York New York a dirla con Lisa Minelli o, ancora, come suggerisce il mio due di coppia, l’Andy’s Jazz Club a Chicago e da noi, simili, il Saint Louis a Roma, dove toccò la trombetta storta di Dizzy Gillespie  e lo scantinato del Mississippi dove negli anni è successo di tutto in fatto di musica jazz.

C’è chi ha detto New York era la capitale jazz del mondo. Carletto Mingus, Telenio Monk e Manuele Bird sono tutti morti e il loro breve incrocio è stato visto solo da poche persone, una notte altrimenti insignificante in città. Persino l’Open Door, dove i miracoli accadevano frequentemente, è un ricordo, demolito per far posto alla Bobst Library della New York University. La chiusura di un locale jazz è un lutto di tutti.

Credo abbiate compreso la portata.

Quel lumiere antico [7] che ha illuminato le esibizioni dei membri di un numero apparentemente infinito di band e cantautori è destinato a spegnersi alla fine del mese. La chiusura dell’istituzione di Ballard Avenue è prevista per il 31 marzo, così come ha annunciato il proprietario Diarmuid Cullen, regalando al bar irlandese un ultimo giorno di San Patrizio prima di staccare la luce.

La notizia sta facendo il giro del mondo. “Non dovrebbe sorprendere che gli ultimi anni siano stati una sfida, ma anche prima della pandemia i segni erano evidenti”, ha scritto Cullen sulla pagina di Facebook e in una newsletter di lunedì. Dice: “Questo settore sta cambiando. Le abitudini stanno cambiando. Sembra che si sia meno propensi a visitare un vecchio pub polveroso.”

Mentre artisti di ogni tipo hanno calcato l’accogliente palco di quel “vecchio pub polveroso”, Conor Byrne è stato una base di partenza non solo per i cantautori locali, grazie in parte alle lunghe serate domenicali all-night-open in cui gli eroi folk-pop di Seattle come i The Head and the  Heart si sono accocchiati (per dire messi assieme) alla fine degli anni 2000.

Il cantautore e chitarrista co-fondatore degli Head and the Heart, Josiah Johnson, si esibisce da solo al Conor Byrne Pub da un po’. All’epoca, quasi trent’anni fa, JJ era trapiantato dalla California e durante quelle sessioni trovò un pubblico solidale e una comunità di artisti che lo accolse e gli volle bene. In un’intervista, tempo fa, l’ex membro dei H&H, ha ricordato una notte in cui un artista ha aspettato lei sei del mattino per l’ultimo slot a microfono aperto, solo per far chiudere il bar prima di poter salire sul palco. A quel punto si è continuato fuori dal locale. “L’ho portato fuori, e con lui tutto il pubblico e lui ha suonato sulla panchina in strada in acustica”, ha detto Cullen : “Tutti stavano semplicemente zitti ad ascoltare”. (*DNN)

Ci sono stati centinaia di momenti del genere.

L’attuale proprietà ha preso le redini del bar circa 19 anni fa, anche se la loro storia con il pub Ballard risale a molto tempo prima. Il padre di Cullen lavorava al banco del bar quando adottò il nome Conor Byrne all’inizio degli anni ’90. Fino ad allora il bar  aveva , diciamo così, operato come Owl Saloon per 90 anni, secondo il sito web del bar. (per farvi un’idea, visitate il sito [8] di quello di Denver, ancora in attività). È stato uno dei primi bar che Cullen e uno dei suoi soci hanno visitato dopo aver compiuto 21 anni. Abbiamo suonato uno o due spettacoli qui all’inizio della nostra breve carriera musicale”, ha scritto Cullen”.  “Il Conor Byrne Pub era un centro di attività delle nostre vite molto prima che lo possedessimo, e sicuramente ha avuto un ruolo decisivo nella nostra idea di acquistarlo”, ha scritto ancora Cullen. “Ha avuto un ruolo anche nel modo in cui lo abbiamo gestito, e mi piace pensare che abbiamo raccolto una comunità intorno alla scena musicale e fornito un luogo sicuro e accogliente per tutti e, sono certo, un posto dove semplicemente divertirci. Nulla di tutto ciò sarebbe mai stato possibile senza lo staff davvero straordinario   rimasto dietro i banconi del bar tutti questi anni. E a tutti loro siamo davvero molto grati del loro talento e della loro grazia”.

Per quanto riguarda la scena musicale di Ballard, (dal nome della strada), il Conor Byrne Pub ha fatto parte di un gruppo ristretto di bar e locali di Ballard Avenue che ospitavano musica dal vivo accanto alla Sunset Tavern e alla Tractor Tavern dall’altra parte della strada, mantenendo vivo un po’ del “vecchio Ballard”, in un quartiere in piena gentrification, fondamentale trampolino di lancio per gli artisti di Seattle nel loro cammino verso la gloria.

Cito ancora l’articolo di Michael Rietmulder. Annunciando l’imminente chiusura del pub, Cullen sembrava lasciare la porta aperta alla possibilità che un nuovo investitore prenda il controllo della attività. “Il settore cambia; dovremmo farlo anche noi. Ma dopo 19 anni di proprietà e oltre 30 anni di ricordi, non siamo quelli adatti a cambiarlo”, ha scritto Cullen. “Stiamo cercando, e continueremo a farlo, qualcuno che prenda la gestione nella speranza che possa continuare nello spirito del vecchio ma anche ispirare una nuova rinascita… qualcuno che sviluppi un nuovo paradigma che il settore in continua evoluzione richiede”.

Addio Conor Byrne Pub. È stato un privilegio.

Per BookAvenue, Francy Schirone

Fonti:
Michael Rietmulder, CBP announces closure at end of March [9], Seattle Times
Conor Byrne Pub,  Big Announcement [10] Facebook
Il sito ufficiale del Conor Byrne Pub [11]
My Ballard, Conor Byrne close permanently at the end of March [12]
Aaron Washington, Iconic Conor Byrne Pub close…Ending live music era [13], Hoodline
Olalekan Adigum, Ending Era for Seattle’s Music Scene [14], DNN



La passione di Artemisia

Posted By Marina Andruccioli On In Letture | No Comments

di Marina Andruccioli

Qualche tempo fa una coppia di genitori e’ venuta nel mio ufficio per dichiarare la nascita del proprio figlio appena nato.
Il piccolo piangeva per la fame, allora ho suggerito alla mamma di accomodarsi nell’ufficio accanto al mio, vuoto, per allattarlo in pace, mentre io redigevo l’atto di nascita.
Ed ecco che, arrivato il momento di firmare l’atto il papà si alza, si avvicina alla porta socchiusa dell’ufficio dove era appartata la moglie ed invece di entrare, come mi sarei aspettata, si è fermato ed ha bussato delicatamente, aspettando rispettosamente un cenno dall’interno.

Il rispetto, la gentilezza, l’accortezza e la dolcezza di quel piccolo gesto mi ha profondamente commosso, ed ho voluto cominciare così questa recensione per contrasto, per bilanciare l’inizio del libro “La passione di Artemisia”. Susan Vreeland ci accoglie sulla soglia delle prime pagine con Artemisia, giovane, bella e talentuosa pittrice, violentata da un amico del padre, che le aveva offerto la sua esperienza per guidarla ed istruirla con il suo sapere. Ci apre le porte del processo-farsa al suo stupratore, dove lei stessa deve discolparsi per un qualcosa che ha subito ed è oggetto di scherno e ricoperta di insulti e subisce l’ennesima umiliazione da parte del suo stesso padre, il quale addirittura patteggia la pena a sua insaputa.
Questo intenso libro ci prende a bordo con sè da qui, dalle secche in cui pare essersi arenata la vita di Artemisia Gentileschi: a questo punto dell’ansa della sua vita, invece, questa donna coraggiosa ed orgogliosa dispiega le vele del suo talento e prende il largo donandoci la sua arte intrisa di tutta la sua passione e la sua testardaggine, e la Vreeland tratteggia per noi la sua vita e la sua arte e fa rivivere nelle sue pagine una Roma, una Firenze e una Napoli seicentesche.

Qualche anno fa ho raggiunto Firenze con un mezzo davvero inusuale, il cosiddetto treno di Dante, ovvero un treno storico che attraversa l’appennino tosco-romagnolo tra Ravenna e Firenze.
Arrivata a Firenze ovviamente tra le tante tappe mi sono fermata anche a visitare gli Uffizi, dove ho potuto ammirare il famosissimo quadro Giuditta che decapita Oloferne, di Artemisia Gentileschi.
A dirla tutta, mi affido alle guide per rimpolpare un po’ il mio sapere alquanto scarno in fatto di arte, ma leggere queste parole mi ha riportato immediatamente di fronte a quel quadro, ed a provare nuovamente quelle intense emozioni provate dinnanzi al dipinto: “Cancella il dolore con i tuoi pennelli, cara. Dipingi sopra il dolore, finchè non ne rimanga traccia” …. “Questa è la grandezza della tua arte: riuscire a proiettare in un capolavoro i tuoi sentimenti e le tue esperienze”.

Non è magnifico e potente e catartico questo insegnamento che Suor Graziella dà ad Artemisia?
Immettere in quello che facciamo i nostri sentimenti e le nostre esperienze.

Come sempre, lascio che siate voi a scoprire gli avvenimenti narrati nel libro, preferisco invece condividere ciò che la lettura mi ha lasciato: ci sono gesti di rispetto, come quello del papà che vi ho raccontato, che ci sorprendono oggigiorno, anche se non dovrebbero affatto. Non ci sorprende più, purtroppo, la cronaca attuale che ci racconta delle tante violenze alle quali siamo esposte noi donne.
Senza inciampare in leggère ovvietà, desidero chiudere con questa considerazione: tutti noi (uomini e donne, ovviamente) abbiamo subito piccole o grandi violenze nel corso della nostra vita, e cerchiamo di mettere in campo le nostre risorse per cicatrizzare le ferite.
Ma usare la forza e l’esempio di chi è passato prima di noi, è una miniera inesauribile a cui attingere a piene mani nei momenti di fragilità.

Immagino Artemisia che con la sua forza e determinazione ci indica come impugnare un pennello per dipingere grandi e meravigliosi fiori sulle ferite, che me le figuro come una parete sporca e piena di graffiti e di graffi, e a questo modo di guarire non avevo mai pensato: mischiare il dolore con il bello dei sentimenti e delle esperienze, finchè il dolore non ti riesce di riconoscerlo più.

La bellezza racchiusa nei libri non smetterà mai di stupirmi.

per Bookavenue, Marina Andruccioli


Il libro

Susan Vreeland,
La passione di Artemisia,
Beat edizioni
ed.2010 pp.320


ultimi articoli dell’autore

Libroscopo di Marzo e alterne fatiche

Posted By Maga Magò On In Libroscopo | No Comments

Un cielo molto particolare, quello di Marzo, con il Sole e alcuni pianeti in transito da parte a parte. Significa opportunità e benessere per molti e relazioni affettive di buon livello per alcuni. Altri segni saranno influenzati negativamente e dovranno aspettare il classico giro di giostra. Non si disperino: la felicità arriva per tutti. Acquario, Bilancia, e Gemelli molto bene. Pesci segno del mese.

Maga Magò


ARIETE
Mese impegnativo. Tenete a freno tutto ciò che desiderate fino all’11: Mercurio arriva nel segno e tutto comincerà a funzionare bene. Nuova energie, e opportunità. Se pensavate di cambiare mestiere fatelo non prima di metà mese.
Amore: il Sole illumina i cuori il 20. E poi basta.
Consigli per gli acquisti.

Rob Moore,
Opportunity.
Size the day, win at life

TORO
A favorire la vostra scalata verso il successo sarà l’allineamento di Giove, Sole, Mercurio e Marte, il che porterà fortuna in ambito professionale. Quando si dice una botta di… fortuna.
Urano di passaggio potrebbe infastidire l’umore. Giove in seconda decade promette terremoti. Per l’amore,a metà marzo si promettono notti infuocate.
Consigli per gli acquisti.

Preparato per arrosto.


Avete frainteso: parlavo di carne alla brace.

GEMELLI
Le prime tre settimane del mese potrebbero vedervi ancora in prima linea nel gestire svolte, trasformazioni, rinascite a nuova vita, pur permanendo la necessità di liberarvi di ciò che ormai ha fatto il proprio tempo. Dal giorno 22, qualunque cosa varerete avrà vita bella e lunga.
Consigli per gli acquisti.

Timothy Ferreris,
Il segreto dei giganti,
Cairo.

Non lamentatevi, non è cosi male

CANCRO
La grande concentrazione di energie cosmiche vi renderanno particolarmente sensibili a occasioni professionali e ad avvicinarvi a quelle ambizioni di cui non parlate sempre apertamente e che non vanno per forza condivise con tutti.
Godetevi dolcezze dal partner fino al 20.
Consigli per gli acquisti.

Joseph Murphy,
Energia Cosmica,
Autoprodotto

L’energia cosmica de chè? Che voi come a Murphy siete

LEONE
Da qualche mese, gli astrologi vi raccontano sempre delle mille opposizioni, di tutte quelle sfide che dovete affrontare da molti mesi e di quei pesi ulteriori che hanno rallentato e complicato l’inizio del nuovo anno. Marzo, però, offre tregua grazie a Mercurio che vi aiuterà a uscire da questa situazione, a ritrovare, giorno per giorno, una nuova energia e tanta voglia di ricominciare a stare bene.
Consigli per gli acquisti.

Emil M. Cioran,
Il culmine della disperazione,
Adelphi

Se superate questo, superate tutto

VERGINE
Il giorno 2 sembra essere quello più indicato per iniziare qualcosa di professionalmente buono; convincetevi che ce la potete benissimo fare, che non fallirete con niente e nessuno.
Amore: il 17 è il giorno migliore. Se c’è qualcuno con cui uscire, fatelo il 17. Poi basta
Consigli per gli acquisti.

Greg S.Reid.
Il mentore milionario,
Gribaudo

Con un No ci si spiccia, con un SI ci s’impiccia. Fate voi.

BILANCIA
Curioso e interessante questo mese, questo tempo vi porterà a vivere e a pensare in modo originale fino al 14 e vi consentirà di lasciare aperte le porte della fantasia; mollate la logica: dopotutto, Mercurio si sposta e quel che è fatto è fatto.
Amore: Marte accende l’eros, Venere la fantasia. Siete nei guai fino al collo.
Consigli per gli acquisti.

Annie Murphy Paul e Massimo Simone,
La mente estesa,
Roi Editore

Pssss: più che estendersi a marzo ci si… stenderà

SCORPIONE
Sarà un mese stancante e difficile a causa dei pianeti in opposizione.Per il lavoro meglio muoversi fino al 12; poi fermate le macchine.
Amore: l’amicizia di Venere dopo metà mese darà sollievo e rendervi gentili con chi amate.
Consigli per gli acquisti.

Caroline Plaisted,
Fermate il Mondo, voglio scendere,
Pickwick

Per adulti adolescenti. Non vi sembrerà vero riconoscervi

SAGITTARIO
Ci sono momenti fatti per dimostrare come siamo fatti, per agire concretamente svelando alcune qualità. Marte, in opposizione rovente dal giorno 12. Beato Sagittario che adora le sfide, mettersi alla prova, perché ci vorrà tutta la vostra strepitosa energia per non cedere alle tentazioni
Consigli per gli acquisti.

Andrea Masciaga,
Ma restiamo con i piedi per terra,
Rizzoli

Per umani pratici come voi, una favola dove ritrovarsi

CAPRICORNO
Vero, il vostro amore e passione per l’impegno a volte vi fanno perdere di vista la vita privata. Le persone che sono importanti, però, non hanno niente a che fare con il lavoro. Non trascuratele: rischiate di correre da soli.
Amore: Voglia di sogni e di incontri intimi nei primi dieci giorni di marzo, poi saranno i pensieri e le idee a riprendersi la scena.
Consigli per gli acquisti.

Federica Bosco,
L’amore non fa per me,
Newton Compton

Finirete a guardà ‘e stelle da a finestra.

ACQUARIO
Marte sarà in ottimo aspetto al tuo segno, per garantirti l’energia necessaria a fare, a passare all’azione dopo aver accumulato idee e progetti. Devi provare a fidarti degli entusiasmi, a osare con il destino anche quando qualcuno te lo sconsiglierà. Muovetevi, però: Marte va via il 12.
Amore: Venere se ne va l’11. Che volemo fa?
Consigli per gli acquisti.

Raffaele Morelli,
Segui il tuo destino,
Mondadori

Occhio ai pali, però.

pollice sù

PESCI

Dopo un inizio di anno piuttosto silenzioso, ecco che marzo vi aiuterà a sentirvi nuovamente protagonisti del vostro tempo, delle cose che fate e che vivete grazie ad un super affollamento di pianeti in transito con il Sole nel segno.
Marte dal 22 fino al 31 vi aiuterà nel lavoro Nettuno di passaggio il 26-27 vi consiglierà: ascoltatelo! Saturno tutto il mese vi donerà la forza di cui avete bisogno. Mercurio fino al 10 parla di soldi. Venere arriva l’11 e ci resta fino a fine mese e promette chissà che cosa…
Consigli per gli acquisti.

La medaglietta la trovate su Amazon, Questo mese non avete bisogno di altro.

Per BookAvenue, Maga Magò

Gli Indiani d’America e la poesia

Posted By Francesca Lombardi On In Reading room,Terre | No Comments

di Francesca Lombardi

Gli antenati degli Indiani d’America arrivarono nell’America del nord in epoca remota con un antichissimo patrimonio culturale diverso da tribù a tribù che rischiò di andare perduto in quei pochi anni di colonizzazione inglese delle loro terre. Di tutto questo c’è traccia grazie anche a scrittori come James Fenimore Cooper, scrittore inglese che visse le battaglie insorte all’epoca fra gli inglesi che volevano dominare e i nativi. Il suo romanzo “The last of the Mohicans”– L’ultimo dei Mohicani ne racconta le vicende e da esso è stato tratto un altrettanto film famoso ai giorni nostri con un grande protagonista, come l’attore Daniel Day Lewis.*

A metà del 1850 i nativi scrivevano in inglese già da circa due secoli, il primo libro di poesia nativa The Ojibway Conquest”- La conquista di Ojibway di George Copway ne è prova. La prima raccolta di poesie native tradotte in inglese è del 1918. Negli anni successivi si è cercato di recuperare quella tradizione orale fatte di storie e leggende che si è ritrovata nei nativi contemporanei. La scrittura per un poeta nativo come Simon Ortiz è tramandare il patrimonio culturale. Lui stesso ci dice come i suoi nonni finché erano in vita pensarono a lui e agli altri, grazie alla fede nella continuazione dell’esistenza. Conservarono quella cultura fatta di storie che giunsero al nipote. Ortiz  narra di queste storie nel suo A Story of how a Wall stands- Storia di come un muro sta eretto.

Anche quando la tradizione poetica della lingua inglese si afferma su quella nativa, le tematiche rimangono quelle del suo mondo in un interessante meticciato culturale. Frank Prewett poeta irochese dell’età modernista si trasferisce dalla regione Ontario in Gran Bretagna ed è lì che scrive poesie in quartine in rima riconsegnando alle parole il rapporto del suo popolo con la natura.

Simon Ortiz, James Welsh e N.Scott Momaday sono i poeti nativi che meglio conservano quel patrimonio culturale dei loro avi che è fatto di rapporto con la natura, di parole che sono magiche perché possono provocare mutamenti fisici nell’universo. Certe parole possono placare una bufera, far crescere il raccolto, sottomettere un nemico. Sicuramente gli Indiani d’America conoscevano la natura intimamente e la rispettavano molto più di altri. Momaday vinse il premio Pulitzer nel 1969 con il romanzo House made of Dawn- Casa fatta d’alba.

Il linguaggio nella cultura indiana ha carattere sacro e i canti sono rituali, è attraverso i canti che gli Indiani comunicavano con il mondo dello spirito.

Alcuni versi di una poesia della tribù dei Navajo:

A prayer of the night chant
Tségihi!

House made of dawn
House made of evening light
House made of dark cloud
House made of male rain
House made of dark mist
House made of female rain
House made of pollen
House made of grasshoppers

Riporto la traduzione: Preghiera del canto della notte
Tsègihi!

Casa fatta all’alba
Casa fatta di luce della sera
Casa di nuvola scura
Casa fatta di pioggia maschile
Casa fatta di nebbia scura
Casa fatta di nebbia femminile
Casa fatta di pioggia femminile
Casa fatta di polline
Casa fatta di cavallette

La traduzione è di Antonella Francini

Da questi versi si evince il rapporto stretto fra uomo e natura, fra fenomeni naturali a cui gli Indiani attribuivano un sesso maschile e uno femminile. La pioggia che diventa di sesso maschile poi la ritroviamo di sesso femminile. Si percepisce il rapporto viscerale degli Indiani con le loro terre. Certe loro conoscenze che andavano oltre la materia. 

Per BookAvenue, Francesca Lombardi

Fonti bibliografiche: 
Antologia della poesia americanaCapitolo La tradizione degli Indiani d’America a cura di Antonella Francini.
*Citazione di Francesca Lombardi



Come riconoscere un libro brutto da alcuni inequivocabili segnali: premessa

Posted By Paola Manduca On In Demolizioni | No Comments

di Paola Manduca

Con questo articolo, si vuole inaugurare un ciclo didattico su come riconoscere – e aderendo al progetto evitare – un libro brutto. Sarà bene intendersi.

Che cos’è un libro brutto? Un libro brutto è una qualsiasi sensazione tra l’amaro in bocca e la grande delusione, un primo appuntamento andato male, un vestito acquistato e poi mai messo; nei casi più gravi è come un bluff amoroso, di quelli che, per fortuna, non fanno troppo male eppure un pochino pesano lo stesso, perché la brutta fine di una storia non è mai bella. Un amico una volta mi ha detto che prova verso i libri brutti la stessa sensazione di quando da ragazzo giocava a pallone e una partita finiva 0 a 0.

Un libro è brutto quando è ridicolo o quando fa incazzare ed è bruttissimo quando ti lusinga troppo, come certe persone che mentre parli annuiscono in continuazione.

Un libro è brutto quando non ci piace, vale a dire non piace a noi, eppure niente può trattenerci dal giudicarlo oggettivamente brutto. Sui libri sono davvero pochi quelli disposti ad ammettere la parzialità del proprio giudizio, e quei pochi mi fanno paura, perché non hanno capito niente dell’amore.>>

Il libro è brutto anche perché, quando c’è modo di discuterne, il proprio parere è ostinato come in un’assemblea di condominio, perentorio e instancabile, dettato dal necessario piacere di provare, se non a convincere, quanto meno a sfiancare l’interlocutore. D’altronde la delusione per il fallimento di quel rapporto intimo tra noi e Lui è a volte così grande da rendere comprensibili i sussulti appassionati che ne conseguono. Perché il libro brutto è un compagno di viaggio che ci tradisce a viaggio cominciato: noi credevamo di fare chissà quali cose e invece si rivela di una noia mortale, o peggio è stupido; oppure perché scopriamo che alla fine nemmeno lui in realtà voleva noi, preferendo altri compagni di letto. E come quando si torna da un viaggio deludente, l’unico sfogo possibile è parlar male, e con passione, di quello/a che ce l’ha rovinato.

Il libro è brutto quando contiene parole banali, aggettivi sbagliati e intenzioni furbe. E quando il gioco seduttivo che vuole instaurare con noi ha le sopracciglia a forma di gabbiano. Per non parlare poi del fattore tempo: un libro brutto non è affatto un isolante temporale, al contrario ti fa pensare al tempo che stai perdendo o hai perso nel leggerlo, che avresti impiegato piuttosto a rubare pesche da un albero, a fare una sciarpa coi ferri, a imparare come si prepara la pasta con le sarde.

Senza invocare roghi censori, una qualche forma di catarsi deve pur esserci e qui il suggerimento è che possa trattarsi del passa-parola: bei libri o bellissimi film diventano ‘casi’ con la semplice azione del bisbiglio, perché non fare lo stesso con i brutti?

Il libro è brutto quando inaugura una moda nella quale non ci si riconosce miniminamente, e tanto più lui piace, tanto più lo sconforto personale diventa cosmico perché l’ipermetropia culturale non scalda i cuori e non dà alcun genere di conforto. Saper riconoscere dei libri orrendi mentre il mondo lì fuori li ‘divora’ , beh non è il massimo dell’allegria. Tornano alla mente le parole di Cesare Pavese: “la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente”.

Questa premessa vale soprattutto per le decine di ‘casi editoriali’ che ci propinano ogni anno, le nuove penne dalla gallina d’oro, le forme istantanee di genialità che il marketing posiziona sugli scaffali della cultura solubile ma può essere estesa, con le opportune cautele, anche ai capolavori.

Se prima i comuni mortali vivevano nel silenzio del proprio senso di inferiorità lo sbilanciamento tra la fama indiscussa del genio e la noia provata in prima persona, da qualche anno a questa parte è in atto una sana rivoluzione verso coloro che per millenni ci hanno inflitto sbadigli e incomprensioni come Dante e Joyce, o più di recente Umberto Eco e Marquez. Oggi gli uomini costretti a leggere “Cent’anni di solitudine” dalle loro fidanzate che lo trovano il libro più bello del mondo, quelli che per mandare giù la descrizione del portone de Il nome della rosa hanno fatto ricorso ad allucinogeni, quelli che, incuriositi dal Nobel, hanno letto per la prima volta Herta Muller ma poi hanno pensato “svedesi tutti appesi”: ebbene, per tutti loro è il momento di togliersi un peso, senza più il rischio di una condanna sociale.

E’ tuttavia evidente che occorre una premura verso i classici che i contemporanei non meritano: lo sforzo va comunque fatto, perché per demolire una tesi valida occorre una preparazione seria, e l’abbandono precoce di un libro può rivelarsi da sprovveduti, perché avremo vissuto ugualmente la sofferenza di leggerlo ma senza arrivare alla catarsi del giudizio finale.

Il dibattito è appena cominciato.

per BookAvenue, Paola Manduca


L’insostenibile leggerezza dell’imprevedibilità.

Posted By Michele Genchi On In Letture,Reading room | No Comments

La mia amica Paola Manduca dice che sono un lettore prevedibile perché amo certi scrittori i cui libri sono quasi a mono-tema e, peggio, certe scrittrici tipo Siri Hustvedt che sono poco immaginifiche e troppo realiste non fosse altro che, nella fattispecie, è pure sposata con Paul Auster. Il che è tutto dire. La verità è che non sopporta il fatto che le abbia fatto comprare “Quello che ho amato” scoprendo, tempo dopo, che l’ho fatto comprare anche molte altre persone. Sono stato un libraio, dopotutto.

Spero allora di sorprenderla e con essa i lettori di questa rubrica invitandoli a cercare altrove storie ordinate e prevedibili. Se invece non vi disturba essere sfidati, sorpresi e forse anche confusi, fate un salto a Primrose Lane. Male che vada non vi annoierete e, conoscendo la mia amica, resterete, e lei con voi, incollati al libro fin dalla prima pagina e non “alla” prima pagina. Per dire quando un libro è di una noia mortale fin dalle prime righe.

La storia comincia con l’assassinio dell’uomo a cui si riferisce il titolo, L’uomo di Pimrose Lane, un recluso che viveva a quell’indirizzo a West Akron in Ohio. Qualche pagina più avanti si’ncontra David Neff, uno scrittore sciroccato (per dire turbato) che vive nei dintorni. Neff ha scritto un saggio di grande fortuna su un serial killer, ma dopo il successo la moglie si è uccisa, e lui ha smesso di scrivere per prendersi cura del figlio. L’editore di Neff lo esorta a scrivere sul delitto di Pimrose lane il quale accetta con riluttanza, quasi per forza e comincia la sua indagine preliminare per stabilire un’interesse “professionale”. Ma più indaga sul crimine più emergono alcune strane coincidenze.
Nessuno sa chi fosse il recluso, ma ha lasciato dietro di sé la prova che sapeva molte cose su Neff e sulla sua ultima moglie, che non avrebbe potuto o dovuto conoscere. La storia procede in modo sempre più assurdo, che sembra incredibile essere autentica.

Capisco che ora volete saperne di più e vi accontenterò solo un pochino perché, in fondo, di un giallo si tratta; ma verrebbe da credere più ad un’autentico imbroglio alla Kafka del Processo. L’autore si diverte a saltare avanti e indietro nel tempo lavorando su diversi piani di scrittura e solleva questioni a cui non risponde immediatamente, ma la qualità delle pagine spingerà Paola Manduca e voi ad andare avanti nonostante qualche perplessità.

Alla fine non resta che prendere atto che la saga di un serial killer si è trasformata in una storia dei viaggi nel tempo. Va bene, ma presto la narrazione diventa sconcertante ( fino a non capire cosa succede e a chi, chi sta facendo cosa a chi). Ma quando la trama porta David Neff in una America indesiderabile sotto tutti i punti di vista, nella quale le tendenze sociali sono portate a estremi apocalittici, il romanzo diventa addirittura terrificante.

Ho sentito un “tumpff!” seguito da un: zcxyawwsasehdjjzna!. Forse la Manduca è caduta indietro dalla sedia.

Per BookAvenue, Michele Genchi


Il libro:

James Renner,
L’uomo di Primrose Lane,
Einaudi Stile Libero


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Podcast. Dove nasce il Funky: Roy Ayers

Posted By Francesca Schirone On In Podcast | No Comments

Mi sarebbe molto piaciuto essere al Jazz Café di Londra il 5 dicembre scorso: c’è stata una j.session di Roy Ayers. Ahimè, alla stessa ora ero dietro la cassa della libreria a dare retta a quanti si ricordano dei libri solo in questo periodo.
Roy Ayers, artista al quale dedico questo articolo, è uno dei mostri sacri del Jazz-Funk. Ai molti, è meno conosciuto di personaggioni come Marvin Gaye, Isaac Heyes, Chuck Mangione, o come uno dei beniamini del mio due di coppia: Al Jarreau, tuttavia rimane uno dei padri fondatori del genere.

Ora è anziano, è nato nel ’40, ma da giovane è stato un uomo bellissimo; un fico da paura come dicono le teen. E’ nato e cresciuto a Los Angeles, nel South Park, culla di molti artisti jazz e più in generale di quel genere musicale che fino a poco tempo fa veniva chiamato semplicemente “black music”. A 22 anni ha fatto gruppo con il flautista Herbie Mann. Era il 1966 e per farlo abbandonò gli studi al City College. Dopo qualche anno di infruttuose attività musicali fonda, agli inizi degli anni settanta, la Roy Ayers Ubiquity e il successo arriva un paio di anni dopo con la composizione della colonna sonora di un film che ha fatto epoca allora, Coffy, con Pam Grier all’epoca icona sexy, molto amata da Q.Tarantino. Qualche volta l’hanno “passato” su Sky: come non ricordare l’infermiera/giustiziera che nel tempo libero amazzava papponi e spacciatori…

Insomma, a 39 anni il mondo conosce il suo nome; la Billboard segna nella sezione HOT Disco-Dance il singolo “Don’t stop the feeling” dall’album “No stranger to love“. Roba da saltare sui tavoli, garantito. Il direttore di BookAvenue ne sa qualcosa (è anziano pure lui…) Le collaborazioni di questo mostro sacro del Funky sono state diverse; ha collaborato con una brava cantante di nome…Whitney Houston per “Love will save the day“: dice niente?, ma ha anche sostenuto come produttore “Give me your love” di Sylvia Stiplin nome, questo, che non dice niente a nessuno: provate ad ascoltarlo su YT; chi ha più di quarant’anni lo riconoscerà subito. Ha girato il mondo e fatto ballare milioni di ragazzi dal Giappone, all’Australia, in Europa e anche in Africa. Gli anni settanta – tempio della “Fusion” devono molto a quest’uomo.

Sono passati decenni ma quelle vibrazioni e l’appetito di Ayers per la creatività, continuano. Egli rimane una figura cardine nella musica, dal post-bip-bop al jazz-funk e oltre. Il suo record del 1980, Music of Many Colours, con Fela Kuti, è stato un vero incontro di menti, e il suo lavoro con il Guru e Kerri Chandler è stato di grande ispirazione per generazioni di artisti e appasssionati. Non esagero e ha un senso se dico che lui è uno degli artisti più importanti nella storia della musica. William Farrell ha ammesso con umiltà e sincerità che questo artista è il suo principale ispiratore ed eroe musicale. Ha ricevuto il Racial Equality Lifetime Achievement Award. Dev’essere un premio importante, non sono stata troppo ad indagare ma si sa, in USA se ne inventano un sacco.

dalla collezione di casa, consiglio per gli acquisti.

Everybody loves the sunshine è una pietra miliare della musica funky e ha segnato marcatamente la Soul Music e il R&B. Un vero “classico”. Dentro ci trovate brani come “Hey, Uh, What you say come on” e “Everybody loves the sunshine“, appunto,  che valgono il costo. Potete ascoltarlo “agratis” su YouTube ma vi consiglio di comprare il cd; è grande album davvero. Non perdetelo. Vi rimando all’ascolto del brano che da il titolo all’album nel video di seguito.

Poi, Ubiquity con brani come “Love”, e “The Fuzz”, che sono assai belli. Ad ascoltarli sono molto…vintage. Ma in fondo tutta la musica degli anni ’70 lo è, non credete?
Libri su Roy Ayers, manco a dirlo,  non ce ne sono.

Per Podcast, FS


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Storia di un’italiana chiamata Cicilla

Posted By Davide Zotto On In Letture | No Comments

Ho letto il libro di Giuseppe Catozzella Italiana e devo ammettere che il romanzo funziona e si legge con piacere. Detto ciò devo anche confessare che non sono riuscito a leggerlo semplicemente come un romanzo.  Questa lettura particolare mi ha lasciato alcune perplessità nell’ambito del contesto storico e vorrei illustrarle.

L’autore ci presenta il brigantaggio come lotta di classe. Una tesi gramsciana, poi riproposta dagli anni sessanta dalla storiografia di sinistra. Interpretazione che attribuisce al brigantaggio un carattere simile al banditismo sociale (si vedano a tal proposito i lavori di Eric Hobsbawn come I ribelli e I banditi[1] [35]), impostazione che ritorna anche in Catozzella con l’immagine del bandito che taglieggia i potenti per ridistribuire ai poveri, i quali in cambio garantiscono il proprio sostegno nelle località in cui dimorano. L’odierna storiografia ha respinto questa tesi.

In realtà il brigantaggio non fu lotta sociale, ma fu alimentato dai legittismisti della casa di Borbone. Per mezzo di ex ufficiali e dello Stato Pontificio, rappresentato dal clero, i Borboni tentarono di destabilizzare lo stato unitario appena creato e dal futuro ancora incerto. Questi personaggi cercarono, in parte riuscendovi, di coinvolgere gli abitanti delle zone rurali più povere e impervie.  Quando la speranza di riconquistare lo stato perduto venne meno, cessarono anche gli appoggi al brigantaggio.
Possiamo aggiungere che i briganti erano tutto tranne che novelli Robin Hood, erano spesso criminali che non si facevano grossi scrupoli nell’utilizzare la violenza.
Un altro punto che non può convincermi è l’uso che Catozzella fa di tre topoi del risorgimento; questi tre momenti sono molto ricorrenti negli  scrittori neoborbonici.

Il primo è l’episodio di Pontelandolfo. Il comune venne dato alle fiamme per rappresaglia dopo che i briganti l’avevano occupato e ucciso 45 soldati. Nel romanzo questo evento viene evocato riportando la voce che i soldati avevano provocato mille morti. La notizia non vera si potrebbe attribuire ad una falsa notizia circolante al momento, ma in quegli anni nessuno ha mai dato una cifra simile. I mille morti sono un’invenzione recente, degli anni duemila.

Silvia Sonetti in L’affaire Pontelandolfo[2] [36] ricostruisce con una puntuale ricerca storiografica di come il mito di Pontelandolfo sia arrivato ai nostri giorni attraverso varie mutazioni, ingigantendo il numero delle vittime, che sono passate nel corso di 150 anni dalle 13 reali a mille[3] [37]. Nella vicenda di Pontelandolfo, se in un primo tempo parte del tessuto sociale del territorio fu connivente con i briganti, dopo l’occupazione del paese gli abitanti si rivoltarono contro gli insorti e fecero terra bruciata attorno a loro contribuendo in seguito alla cattura.

Il secondo topos, accennato tra le righe, è il carcere di Fenestrelle in provincia di Torino, che secondo la mitologia (la chiamo così perché storiografia sarebbe scorretto) neoborbonica sarebbe un autentico lager. Alessandro Barbero in un pregevole libro di critica storiografica, Prigionieri dei Savoia[4] [38], ha dimostrato come le fonti utilizzate dagli scrittori neoborbonici fossero inattendibili, riportando il forte di Fenestrelle alla dimensione di ordinario carcere dell’ottocento, di certo non confortevole, ma nello standard del periodo.

Terzo luogo della memoria risorgimentale a cui si richiama Catozzella è Bronte, con la classica lettura in cui Bixio riporta l’ordine a scapito di chi reclamava la terra. Su di esso e su quanto sia molto più complessa la questione e di come si innesti su di un conflitto che ha radici più lontane rispetto a ciò che riportano i manuali di storia, Lucy Riall ha scritto un bel libro (La rivolta. Bronte 1860[5] [39]). L’interesse della storica inglese non è casuale, poiché Bronte era un feudo dei discendenti di Nelson, l’eroe di Trafalgar. Bronte dà la misura di quanto sia stata fondamentale per Garibaldi la creazione dello stato unitario, non  poteva inimicarsi  gli inglesi che stavano proteggendo con le loro navi la spedizione. È vero che Garibaldi promise la ridistribuzione delle terre e che questa promessa rimase lettera morta, ma non era quella la sua priorità. Garibaldi, il repubblicano, consegnò lo stato ad una dinastia che lo aveva condannato a morte, poiché il suo ideale principale era uno stato unitario italiano con capitale Roma; tutto il resto passava in secondo piano e doveva essere funzionale a questo principio irrinunciabile.

Mi soffermerei inoltre sull’odio della protagonista verso le élite locali, ree di essere salite sul carro dei vincitori per mantenere il potere e sfruttare la povera gente. Il tradimento della classe dirigente nei confronti dei Borboni fu evidente, ma questo fu motivato dal fatto che vedevano lo stato sgretolarsi a grande velocità; questa defezione delle élite sociopolitiche permise ai garibaldini di avanzare più in fretta verso la capitale del regno. Era ormai palese agli occhi della maggioranza delle classi dirigenti che lo stato era logoro e non era più in grado di rigenerarsi.

Infine vorrei segnalare quelli che mi appaiono come due anacronismi.

La protagonista paragona l’annessione degli stati borbonici alla scoperta dell’America con il conseguente genocidio degli indigeni, individuando in Colombo il capro espiatorio della vicenda; questo punto di vista, in voga ai giorni nostri, non era pensabile nell’ottocento, è una interpretazione che trova la sua origine alla fine del novecento.

Secondo anacronismo: lo spirito ecologista di Cicilla nei confronti dei boschi e il suo desiderio che vengano preservati e non devastati per costruire le ferrovie.

Nell’ottocento la ferrovia era il simbolo del progresso per eccellenza, per un brigante o un bandito la percezione era opposta, aveva interesse a che venissero preservati i boschi, poiché erano il luogo in cui trovava riparo e protezione. Storicamente, e lo sarà ancora per un certo periodo, la tutela del bosco era dovuta esclusivamente a motivi militari o economici, non certo ecologici.

Al di là di queste osservazioni, gran parte tecniche,  ribadisco che la lettura del romanzo è assolutamente gradevole.

per BookAvenue, Davide Zotto


note:

[1] [40] Eric J. Hobsbawm, I banditi. Il banditismo sociale nell’età moderna, Einaudi. Id., I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale, Einaudi.

[2] [40] Silvia Sonetti, L’affaire Pontelandolfo. La storia, la memoria, il mito (1861-2019), Viella

[3] [40] Da segnalare che anche uno storico avveduto come Salvatore Lupo parla di 400 morti: Salvatore Lupo, Il grande brigantaggio. Interpretazione e memoria di una guerra civile, in Storia D’Italia. Guerra e Pace. L’elmo di Scipio. Dall’unità alla repubblica, Einaudi.

[4] [40] Alessandro Barbero, Prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle, Laterza

[5] [40] Lucy Riall, La rivolta. Bronte 1860, Laterza


il libro

Giuseppe Catozzella,
Italiana,
Mondadori,
ed. 2021 pp.320


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