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Legge sul libro. L’intervento di Michela Murgia

   Tempo di lettura: 5 minuti

Ho chiesto a Michela Murgia di intervenire sull’articolo pubblicato qualche giorno fa sul tema della nuova legge sul libro e dell’interesse suscitato. Grazie all’Autrice.

Caro Michele,
la ringrazio della segnalazione. Ho letto l’articolo che ha scritto con molta attenzione.
Mi trova d’accordo sul fatto che i libri siano troppo cari e non credo affatto che la procedura che porta un libro a costare 19 euro sia determinata dai costi reali di produzione. Ma non bisogna negarci che uno dei fattori per cui le case editrici – soprattutto le piccole e medie – hanno alzato i prezzi oltremodo è stata la necessità di dover reggere le forbici di sconto che la grande distribuzione, l’on line e le catene chiedevano di poter offrire ai loro clienti. Il fatto che alle grandi catene sia stato sinora permesso di esercitare i vantaggi dell’economia di scala con totale spregiudicatezza ha fatto sì che le case editrici scaricassero il recupero dei margini sui lettori, alzando il prezzo di copertina in vista dei numeri garantiti dalla vendita di massa. Per questo le chiedo se siamo certi che l’unica risposta opponibile al caro prezzi del libro sia lo sconto selvaggio, o se invece la possibilità di svendere sempre non sia uno dei fattori che ha contribuito a far lievitare esponenzialmente il costo dei libri.

Non sono invece assolutamente d’accordo con la sua idea dei librai indipendenti. Ne ho conosciuti molte decine in questi anni e non somigliano affatto alla descrizione che ne fa lei. Probabilmente dipende dal fatto che in Sardegna questa figura è molto radicata; nonostante la sofferenza congiunturale è stata la grandissima professionalità di queste persone e la loro capacità di fare rete sul territorio ad aver consentito alle librerie indipendenti di restare aperte e continuare a offrire un servizio anche in territori spopolati dove la grande catena non investirebbe mai un centesimo. Certo che mi fa piacere che lei venda 400 copie di Ave Mary, ma so anche che è stata la figura del libraio indipendente a fare la differenza per me quando non ero che l’ennesimo esordiente di una piccola casa editrice e nessun grosso rivenditore avrebbe sacrificato spazio in scaffale per me. Tra gli inviti a presentare Il mondo deve sapere che ho ricevuto nel primo anno di uscita non figura nemmeno una libreria di catena: erano tutti librai indipendenti, gli unici che ancora investano sulla visibilità del piccolo che vale e non solo sulla popolarità del grande che già vende. Io questo non posso dimenticarlo. Ma fuori dalla Sardegna la mia esperienza delle librerie indipendenti non è molto diversa: salvo pochissimi cialtroni improvvisatori, la stragrande maggioranza dei librai indie è uno spettacolo di inventiva organizzata e offre servizi che in un mondo normale dovrebbero essere la mission di biblioteche, assessorati alla cultura e strutture scolastiche. Basti solo pensare a quante volte dietro alla nascita di un festival (Tuttestorie, Maredilibri, Pralibro, Mantova, Portici di carta…) c’è un libraio, un’associazione di librai o una comunità di persone che è sorta intorno a una libreria. La stessa pratica delle presentazioni con gli autori non nasce nelle grosse catene, ma sempre nel clima intimo e familiare delle librerie autonome, capaci di dialogare in maniera unica con il proprio contesto e di trovare spazi e risorse per generare eventi di rilievo anche dove i piani di investimento di un grosso soggetto più “marketing oriented” sconsiglierebbero di provarci. Mi rifiuto ( e credo che tutti i lettori si debbano rifiutare) di accettare che le logiche di mercato sterilizzino l’incidenza sociale di queste presenze, che sono molto più che imprese commerciali, ma veri e propri animatori culturali del territorio. La battaglia del prezzo non va fatta su chi vende il libro, ma su chi ne decide il prezzo a monte.      

Non sono una talebana, conosco bene lei, la sua passione e la professionalità anche di molti altri librai di catena e non li ho mai dipinti come commessi intercambiabili davanti a libri o zucchine, sebbene pure di quelli ne abbia incontrati parecchi. Ma tra l’approccio indipendente e quello di catena ci sono comunque differenze che non sarebbe corretto far finta di non vedere. In forza di quella differenza considero ingeneroso dire che i librai indie chiudono per colpa propria.

Cordialmente
Michela

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