Podcast Unplugged. Miles Davis, Tutu

   Tempo di lettura: 10 minuti

Quella alla quale state assistendo è una piccola “variante” di Podcast. Questa serie o sottosezione di Podcast che chiamo Unplugged, si dedica, come già più volte ricordato, alla segnalazione dei singoli dischi che maggiormente mi hanno formata e che continuano ad influenzare la mia appartenenza di ascoltatrice di “genere”. L’intento è quello di invitarvi all’ascolto; null’altro.

Di Miles Davis mi sono già occupata ed è difficile non riprendere le fila della rubrica senza nominarlo ancora una volta. Il figlio più famoso del Jazz ha regalato la colonna sonora a interi decenni; negli anni ’50 – ci fu’ Kind of Blue – come negli anni ’70, Bitches Brew. Negare questo significa non capire nulla di musica jazz. Gli anni ’80 sono, forse, un periodo di trasformazione della sua discografia e della sua biografia. Tutu toglie ogni dubbio, tuttavia, del dono della saggezza ricevuta da questo grande uomo di musica e la fortuna per la nostra generazione di suoi contemporanei, di averlo ascoltato dal vivo (indimenticabile estate 1987 a Imola) e conoscerlo.

Ancora oggi, Tutu, è ancora considerato, e per questo, talvolta, rifiutato, da molti come musica ‘leggera’ o, peggio ancora, ‘pop-fusion’; l’album, fatemelo dire, il cui timbro sorprendente per il calore, il suo abbraccio, è un disco scultoreo, che colma come un miracolo i buchi di quegli anni, il ritardo del maestro e la bellezza del trombettiere. Ecco cosa ha fatto Miles Davis con Tutu: ha generato qualcosa che ha catturato l’immaginazione di molti ascoltatori, anche quelli – moltissimi – al di fuori del mondo del jazz che, al contrario, avevano accolto quella musica con diffidenza.

E non e’ solo una storia d’amore quella che cui si assiste. E’ la storia d’amore di uomo e l’amore per la musica: la sua. E’ la storia di Miles Davis che torna nella mischia, come alcuni dei pugili da cui ha tratto ispirazione, dopo diversi anni sulle corde. Se il 1982 di We Want Miles era un vibrante appello all’idea che fosse ancora rilevante per la musica, in particolare, e la cultura, in generale, il 1986 di Tutu era la prova positiva che poteva toccare le persone senza sembrare datato. Questo e’ il punto. Con questo disco Miles Davis dice al mondo: “sono vivo e suono ancora e, credetemi, vi piacerà ascoltarmi”

Tutu è una bella pagina di musica. . Un disco dal sentimento evocativo scritto in onore di Desmond Tutu, l’arcivescovo sudafricano. Ma nell’elenco, a guardar bene, c’è anche Nelson Mandela: “Full” Nelson, eccolo lì, nascosto dal gioco di parole di “half Nelson”: uno standard jazz.

E’ musica nuova quella di Tutu. Per farla, ha significato tastiere, sequencing, effetti dub, drum machine e tonalità che spesso hanno la luminosità e la nitidezza dell’epoca, senza essere confusa con la sonorità dell’epoca; qualcosa che è reso ancora più evidente dal suono nitido di questo nuovo rilascio.

Un record di persone: 11 della band più moltissimi strumentisti a rotazione.

Marcus Miller e’ l’architetto che ha costruito l’edificio sonico per Miles Davis, e la cosa fondamentale è che lui è stato, per Tutu, tanto musicista della band che lo ha prodotto, quando produttore – vero e proprio – della band.

In mezzo a tanta elettronica, il suo basso e il suo clarinetto basso fanno sentire la loro presenza, così come il violino elettrico di Michael Urbaniak, le percussioni di Paulinho Da Costa, e Adam Holzman e il synth di Jason Miles – cosa rarissima nel jazz fino ad allora. Non sarà più un tabù.

Questi elementi coerenti grazie al talento dei molti musicisti che vi hanno preso parte, hanno forti echi della musica popolare nera emergente dell’epoca: parlo di quel genere che prende il nome di R&B-funk e ho detto tutto. Non è a fatto un caso che tra le collaborazioni del disco ci sono i Cameo (prometto: prima o poi ci metto le mani!), Prince stesso che avrebbe potuto essere co-producer del disco e non lo fece, forse meglio così a vedere come è andata. E siccome il mondo è piccolo e Prince viene da Minneapolis, dentro il baule pieno di gente (tanto per citare Tabucchi) ci troviamo Jimmy Jam & Terry Lewis il duo …reggae che tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, erano gruppo chiamato Flyte Tyme, poi The Time, e, infine, The Original 7ven, gruppo spalla proprio di Mr.Prince.

Ancora. Che dire dell’angosciante anima-reggae che Wally Badarou e gente come Sly Dumbar & Robbie Shakespeare? I giamaicani ritiratisi in Giamaica a fumare cose buone e con all’attivo qualcosa come 200.000 registrazioni! Per capirci: la signorina Grace Jones deve molto a questi due.

Davis è stato un vero laboratorio vivente che consentì non solo la crescita di generazioni di musicisti e di nuove tendenze musicali, ma lasciò traccia anche nel costume, Tutu è la sintesi di tutto questo. Marcus Miller è stato il grande chef di questo capolavoro e ha saputo dare il suo personale contributo di sottigliezze armoniche che combinate con i sussurri meditabondi della tromba di Davis ha condito Tutu di atmosfere e grandi melodie. Poche chiacchiere signori: un disco enorme che nell’1987 fece vincere a Davis il Grammy Award per la “Best Improvised Jazz Solo”.

I brani.

1.Tutu – 5:12
2.Tomaas – 5:35
3.Portia – 6:20
4.Splatch – 4:44
5.Backyard ritual – 4:49
6.Perfect way – 4:36
7.Don’t lose your mind – 5:49
8.Full Nelson – 5:06

Gli artisti

Marcus Miller – Altri strumenti su tutte le tracce tranne “Backyard Ritual” (Basso)
Jason Miles – Programmazione sintetizzatori
Paulinho da Costa – Percussioni su “Tutu”, “Portia”, “Splatch”, Backyard Ritual”
Adam Holzman – Syntetitzzatore in “Splatch”
Steve Reid – Percussioni aggiuntive in “Splatch”
George Duke – Altri strumenti tranne percussioni, basso e tromba in “Backyard Ritual”
Omar Hakim – Percussioni e batteria in “Tomaas”
Bernard Wright – Sintetizzatori aggiuntivi in “Tomaas” e “Don’t Lose Your Mind”
Michal Urbaniak – violino elettrico in “Don’t Lose Your Mind”
Jabali Billy Hart – batteria, bongo

Le collaborazioni “esterne” al disco.

I Cameo è stato un gruppo R&B che si è formato nei primi anni 1970. I Cameo era inizialmente un gruppo di 13 membri conosciuti come i “Giocatori di New York” ; questo nome fu poi cambiato in Cameo per evitare una causa legale dagli Ohio Players. A partire dal 2009, alcuni dei membri originali continuano a esibirsi insieme, mentre altri due sono stati assunti dal gruppo Outkast . Cameo è una band R&B – Funk in un’epoca assai ricca di coetanei di rilievo come: Rick James , i Parlement-Funkadelic , Bar-Kays, Earth, Wind & Fire , Ohio Players e The Isley Brothers , e cantanti come Marvin Gaye , Billy Paul , Prince, Isaac Hayes , Stevie Wonder , e Bootsy Collins. Mamma mia!

Sly & Robbie

Sly e Robbie sono un prolifico giamaicano sezione ritmica e la produzione duo, associato soprattutto con il reggae, genere. Il batterista Sly Dunbar e il bassista Robert Shakespeare collaborato a metà degli anni 1970 dopo stabilirsi separatamente in Giamaica come musicisti professionisti. Sly e Robbie si stima abbiano registato e prodotto 200.000 pezzi, molti dei quali con la loro etichetta: la Taxi Records.

Jimmy e Terry

Jmmy Jam è figlio di Cornbread Harris, un musicista jazz di Minneapolis. Proprio a Minneapolis (Minnesota) ha incontrato Lewis col quale, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, forma un gruppo chiamato Flyte Tyme, dal quale si evolveranno i The Time e quindi i The Original 7ven, gruppo spalla di Prince.

Nel 1982 i due si sono avviati nell’attività di produzione tramite Dick Griffey e la Solar Records. Negli anni seguenti, precisamente nel 1991, hanno fondato una propria etichetta, la Perspective Records, che si è appoggiata per la distribuzione alla A&M Records. A Jimmy Jam e Terry Lewis fa riferimento anche la Flyte Tyme Records.

Wally Badarou

Uno specialista dello sintetizzatore. Badarou è stato legato per molto tempo alla band inglese dei Level 42, conosciuta come una del band rock, pop, funk più importanti degli anni ’80 E’ stato componente, co-scrittore e produttore dei molti lavori della band in quegli anni.

Ed è tutto. Alla prossima

per Bookavenue, Francy Schirone

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