Se il bunga bunga è americano

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fotoLei lo chiamò sempre ‘Mr President’, malgrado fosse l’uomo con cui aveva perso la verginità. Lui si rifiutò sempre di baciarla sulla bocca, anche quando facevano l’amore. Uscito l’8 febbraio, ma solo nelle librerie statunitensi, il libro di memorie di Mimi Alford, ex amante di John Fitzgerald Kennedy ai tempi in cui era una stagista 19enne alla Casa Bianca. “Once upon a secret: my affair with president John F. Kennedy and its aftermath” (C’era una volta un segreto: la mia relazione con John F. Kennedy e le sue conseguenze), di cui il New York Post ha pubblicato alcune anticipazioni, è un libro pieno di particolari piccanti ma anche di dettagli inediti sulla vita privata di Kennedy e sui momenti più difficili della sua presidenza.

 

Come quando, durante la crisi dei missili a Cuba, lui confidò alla ‘sua’ Mimi: “Penso ai miei figli e mi dico: meglio comunisti che morti”. Oppure quando, dopo la morte del figlioletto Patrick, trovò il presidente affranto. “C’erano un mucchio di telegrammi di condoglianze per terra e lui li raccolse, uno dopo l’altro, leggendomeli ad alta voce. Le lacrime gli scorrevano giù per le guance, di tanto in tanto”. Ma sono soprattutto i dettagli privati e spesso osè a dominare il racconto. La Alford, oggi nonna di 69 anni, rievoca il giorno in cui – 50 anni prima – perse la verginità con “l’uomo più potente del mondo”. Era estate e la ragazza, al suo quarto giorno di stage, fu invitata nella piscina della Casa Bianca, dove il 45enne presidente nuotava quotidianamente per dar sollievo ai suoi cronici dolori alla schiena. JFK non mancò di notare la snella e graziosa figurina, dai capelli d’oro. Quella stessa sera, Mimi fu invitata a un party nella residenza di Mr President, alla Casa Bianca. Con la scusa di un tour nei lussuosi appartamenti, JFK la portò in camera da letto, quella della “signora Kennedy”. “Vidi che si avvicinava sempre di più. Sentivo il suo respiro sul collo. Mi mise il braccio su una spalla”. Il presidente le si piazzò davanti e la guidò sul bordo del letto. “Lentamente mi sbottonò la camicia e mi tastò il seno.Quindi mi toccò fra le gambe e cominciò a tirarmi le mutandine”. Kennedy si sfilò i pantaloni e, con la camicia ancora indosso, le fu sopra, sul letto. Profumava della sua acqua colonia ‘4711’. Quando la giovane accennò una resistenza, lui capì al volo: “Non l’hai mai fatto?”. “No”, rispose lei. “Tutto ok?”, chiese ancora lui. “Sì”, replicò la 19enne. Allora lui continuò, ma con più gentilezza. “Ero in stato di choc. Lui invece era tranquillo e si comportava come se fosse successa la cosa più naturale del mondo”, scrive la Alford, che sulla via per casa continuò a ripetersi: “non sono più vergine”.

La liaison tra la stagista e John F. Kennedy durò 18 mesi, tra incontri hard alla Casa Bianca, escursioni e gite sullo yacht presidenziale Sequoia. In una di queste occasioni, la giovane conobbe il vicepresidente, Lyndon Johnson. “Stai lontano da lui”, le intimò Kennedy, preoccupato che il numero due della Casa Bianca potesse venire a conoscenza della relazione e sfruttarla contro di lui. Il sesso con Kennedy, racconta la Alford, era “vario” e “divertente”. I due amavano fare il bagno assieme, vista la vera e propria ossessione per la pulizia di cui soffriva JFK, capace di cambiarsi sei camicie al giorno. E per farla diventare più disinibita, Kennedy non mancò di convincerla provare il popper (che lui però non assunse). “Era una sensazione nuova e mi terrorizzò. Scoppiai in lacrime e corsi fuori dalla stanza”, ricorda Mimi. Ma non fu l’unico episodio che le fece intravedere il lato oscuro del presidente. Alla Casa Bianca, durante la solita nuotata di mezzogiorno in piscina, “fece una cosa ancora più insensibile e imperdonabile”, suggerendole un rapporto orale con l’amico ed assistente, Dave Powers, mentre lui restava a guardare. “Non credo che il presidente pensasse che l’avrei fatto ma mi vergogno di dire che lo feci. Il presidente assistette in silenzio”. A Powers la giovane si rivolse successivamente, quando temette di essere rimasta incinta di Kennedy. Lui si premurò subito di farle prendere un appuntamento per abortire (nel 1962 l’aborto era illegale negli Usa), ma “alla fine risultò un falso allarme”. “Il fatto che fossi desiderata dall’uomo più famoso e potente del mondo amplificava così tanto i miei sentimenti che ogni resistenza era impossibile. Ecco perché non ho mai detto di no al presidente”, annota Mimi, che passò l’ultima notte con JFK al Carlyle Hotel di Manhattan. La ragazza era in procinto di sposarsi; “Mi prese tra le braccia, mi abbracciò a lungo e disse, ‘vorrei che venissi con me in Texas’. Quindi aggiunse,’ti chiamo’ appena torno’. Fui invasa da una tristezza improvvisa. ‘Presidente, ricordati che sto per sposarmi”.

Era il 15 novembre 1963. Sette giorni dopo Kennedy fu ucciso a Dallas.

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