Fuoriclasse. Carnefici e cattivi Maestri

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Qualche giorno fa ho commentato una indagine sulla caduta dell’istruzione nel nostro paese in occasione di una ricerca sulla stampa. Torno sul tema ospitando l’articolo di Valerio Anastasio su LiveSicilia.net. Leggendolo ci si chiarisce ancora un po’. mg

Ci sono storie che si svolgono su due palcoscenici, quella di Vincenzo è una di queste. A Pianura si consuma il primo atto del dramma di un ragazzo brutalmente seviziato dall’indifferenza più che dalla crudeltà, ferito nell’animo prima ancora che nel corpo. Le storie di ragazzini derisi poiché grassi, chiusi, timidi, o solamente lontani dallo stereotipo che ne garantisce l’accettazione da parte del gruppo, l’accesso al nucleo ristretto di chi conta, non sono di certo espressione del mutato assetto della società.

 

 

Sono dinamiche ataviche, una costante immutabile delle relazioni tra gli adolescenti: si svolgevano anche tra i corridoi del Marconi negli anni ottanta e tra le anguste scale del Meli nei primi anni novanta. A quei tempi difettava, però, quella tacita, quasi impalpabile, legittimazione da parte dei più grandi. Si era consapevoli del disvalore di ciò che si faceva, se ne temevano le conseguenze e non vi era speranza di trovare negli adulti comoda sponda per giustificare, o soltanto comprendere, questi comportamenti. La punizione arrivava sempre: inesorabile, severa, tra le mura domestiche prima ancora che nelle aule scolastiche o giudiziarie. Non sorprenda, quindi, che la storia di Vincenzo oggi sia stata definita dai familiari semplicemente un “gioco tra ragazzi finito male” in quello che è il secondo atto di questa triste storia di cronaca. Quello della ipocrita indignazione dei più grandi, di coloro che per questi ragazzi avrebbero dovuto rappresentare non solo il più virtuoso esempio ma anche il più severo censore. Di coloro che consumano nella più colpevole indifferenza il tradimento di una generazione di adolescenti che, mai come oggi, appare smarrita, priva di guida e di ascolto; drammaticamente bisognosa di provare un senso di appartenenza, di sentirsi al sicuro in un gruppo che sappia riconoscerli e di accoglierli onde garantire quella pur fragile e precaria sicurezza che la famiglia sempre più spesso non è più in grado di assicurare.

Giovani che trovano rifugio in circoli chiusi come tribù, dominati da codici di riconoscimento e riti di iniziazione, spazi che devono rimanere inaccessibili a chi è diverso e rispetto ai quali solo l’emarginazione di chi viene confinato fuori permette di rinsaldare la compattezza del gruppo che li costituisce. Compagini in cui le offese e le minacce si elevano ad inflessibili sentinelle poste a presidio di ogni iniziativa esterna che possa turbare il già fragile equilibrio interno. Così, a dispetto delle sempre più imprevedibili sperimentazioni cromatiche di indumenti ed accessori, della stravaganza delle acconciature, è la bramosia di distinguersi a condurre inconsapevolmente questi ragazzi a divenire, invece, indistinguibili in quelle divise tutte uguali.

Come un piccolo e sgangherato esercito in marcia affrontano il mondo con le poche armi a loro disposizione, le stesse offerte da coloro che, da sempre, ne costituiscono fonte di ispirazione ed emulazione: i genitori. Questi ragazzi ci vedono osannare il tribuno che, con apparente fervore, ha maliziosamente fatto dell’insulto un vessillo da ostentare, elevandolo a simbolo di virtù e canone di rettidudine morale. Su improvvisati campi di battaglia, hanno visto i contraddittori tramutarsi in nemici e contrabbandare il confronto con l’annientamento personale. Hanno imparato a riconoscere ed utilizzare, proprio come noi, attacchi mirati, liste di proscrizione, campagne di odio e stomachevole propaganda per accreditarsi e riconoscersi.

Hanno visto le idee –le nostre – anche le più criticabili e meno condivisibili soppiantate dal più bieco interesse personale, così che dove non c’è occasione per lo scontro non v’è motivo di interesse. Dinanzi agli esempi quotidianamente offerti ad ogni livello allo sguardo di chi, nell’apparente disinteresse e lontananza ci osserva e ci imita, le voci di protesta e di indignazione che oggi si alzano contro questa gioventù di bulli suonano stridule, come gesso che segna la lavagna. Feriscono il buon senso e l’onestà intellettuale così che l’abitino di virtù che corriamo ad indossare per l’occasione appare come un velo di carta mentre fuori imperversa il diluvio. Impossibile ripararvisi.

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