Il fallimento della società multiculturale.

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Da noi, a dare il segnale di dismissione della civiltà solidale, è stata la legge Bossi Fini, il cui reato di immigrazione clandestina si estende anche ai pescatori che aiutano le barche in difficoltà, ragione, questa, che mette in condizione gli uomini imbarcati di lasciare al loro destino i disperati del Mediterraneo a bordo delle loro carrette galleggianti e di guardare dall’altra parte in caso di avvistamento. Una vergogna. Per fortuna, il buon senso dei pescatori, che nella maggior parte dei casi se ne strafregano della iniquità di questa legge, ha consentito di salvare molte vite. La stessa cosa succede allo sfortunato protagonista del nuovo libro di Tom Wolfe. Lui è un poliziotto di origine cubana che, con un gesto eroico, salva la vita ad un clandestino mentre è in fuga da Fidel Castro.

 

Direste, tutto bene allora. Invece no. Il poliziotto, pur evitandogli la morte in mare, ne causa suo malgrado l’arresto e le successive procedure di rimpatrio. Se il miserabile avesse toccato terra da solo, avrebbe beneficiato dello status di rifugiato e avrebbe avuto, per diritto, l’asilo politico. La storia è ripresa dalla stampa, e il “Cop” si trova inviso dalla sua stessa famiglia, che lo considera un traditore della propria comunità. Isolato pure dai colleghi in divisa. Le “Ragioni del sangue”, il titolo del nuovo atteso libro del grande scrittore americano, sparge sale sulla ferita aperta delle nostre coscienze in fatto di immigrazione.

Cose di casa nostra. Una lezione, con la sua tragica dose di morti, che conosciamo bene. La politica non aiuta e, diciamolo: Alfano farebbe bene a fare compiutamente il vicepresidente del consiglio assumendo appieno una certa compostezza che il ruolo richiederebbe invece che lanciare la “boutade” del premio Nobel per la pace ai cittadini lampedusani, sapendo benissimo di fare una dichiarazione ad uso e consumo dei media. Peggio, non si può e non si deve dire ai cittadini che protestano , e che non sono contestatori di professione, che gli stessi vogliono gli scafisti liberi: se si dice ,si dice un falso. False come sono state le passeggiate a Lampedusa di queste settimane di emigranti di lusso da Roma. Il resto è storia di questi giorni: i morti sono stati sepolti senza rito, pensando di inventarsi dei funerali di stato che non ci sono stati e “scambiati” con una manifestazione senza bare, senza autorità locali, senza parenti. Forse anche senza più dolore. Le molte miserie del nostro Paese nei due corpi dei ministri intervenuti.

Tornando al tema dei questo articolo, il libro di Wolfe suscita diversi interrogativi. Mentre l’autore fa personalmente il conto di quello che accade a Miami dove, le società multietnciche semplicemente non parlano tra loro, non discutono, non condividono la politica (della città) non compiono scelte sui beni comuni perché hanno semplicemente dimenticato di averne, spiega le ragioni di questo fallimento: “La città della Florida è l’unica al mondo in cui oltre metà della popolazione sia di recente immigrazione. I cubani sono i più numerosi. I bianchi non ispanici, diventati una minoranza con incredibile rapidità, ora sono appena il 12 per cento degli abitanti. Inoltre, a Miami, gente proveniente da un altro Paese ha preso legittimamente il potere e il controllo delle istituzioni” Un laboratorio perfetto per una società multietnica che invece, semplicemente, non esiste, secondo l’autore noto per i suoi libri che hanno sondato la società americana degli ultimi anni. (ndr. la fonte del virgolettato è: Il giornale).

La verosimiglianza con l’attualità (anche nostra) nelle pagine del libro si annuncia in tutta la sua evidenza. Le diverse comunità vivono una accanto all’altra ma sono piccoli mondi chiusi agli altri «stranieri». Manca ogni ipotesi di convivenza, figuriamoci quanto fascino eserciti lo Stato. Non c’è collante ideologico né religioso che tenga. Tutto è frammentato. Attraversare i quartieri di Miami, racconta Wolfe, è come passare da piccola patria a piccola patria. In questo caos, ci si aggrappa al concetto arcaico di tribù. All’interno di ogni enclave dominano “Le ragioni del sangue”, come recita il titolo (l’originale, Back to Blood, e’ ancora più esplicito).

A guardare bene, molti degli eventi che hanno caratterizzato i mutamenti sociali sull’altra sponda dell’Atlantico, sono poi comparsi anche da noi. Alcuni fatti ne evidenziano i tratti emergenti; è noto, ad esempio, che le comunità cinesi, pur vivendo nel nostro territorio, non vivano appieno le comunità che li ospitano (questo,vale per le persone più anziane molte delle quali non parlano la nostra lingua pur vivendo nel nostro paese da decenni). Meglio fanno le seconde e terze generazioni ma questo, vale anche per tutte le altre.

Bisognerà aspettare di leggere il libro per dare un cenno di risposta all’interrogativo “Che fare?”. Nel frattempo, un punto di vista molto diverso da quello di Tom Wolfe è espresso da Hanif Kureishi nel nuovo romanzo «L’ultima parola» (Bompiani, pagg. 302, euro 18). Uscito ieri in Italia in anteprima mondiale, il libro dello scrittore londinese di padre pachistano parte dal presupposto che la società multiculturale, per quanto provata dalla crisi economica, sia un dato di fatto dal quale non è possibile, né auspicabile, tornare indietro. La riflessione sull’immigrazione, strumentalizzata dai politici per impaurire i cittadini, occupa la prima pagina di un romanzo che percorre poi strade più intime (fino all’erotismo). Harry Johnson ha il compito di scrivere la biografia del grande romanziere indiano Mamoon Azam. Un uomo, come del resto Kureishi, dalla doppia identità: perfettamente integrato nella società occidentale ma non immemore delle proprie radici. Il rapporto fra i due, all’inizio difficile, restituirà vitalità all’artista ormai in declino..

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