Paul Auster, Le follie di Brooklyn

   Tempo di lettura: 3 minuti

Le Follie di Brooklyn è stato pubblicato nel 2005. Un romanzo particolare, dove l’ombra del meta-romanzo è sempre presente, ma in maniera meno forte rispetto agli altri libri di Auster. Nonostante qualche rimando biografico – l’autore americano infatti vive stabilmente a Brooklyn da ameno 30 anni – e geografico ai luoghi principali del distretto newyorkese, il testo è essenzialmente un inno d’amore alla passione per la letteratura, alla finzione letteraria e quel “rifugio interiore” che essa è in grado di offrire. E, per ritornare al tema del meta-romanzo, Auster dimostra tutto questo con la sua stessa scrittura, avvolgente, intrigante, attraente.

 

Come scrive Auster nelle prime pagine “ La lettura era la mia libertà e il mio confort, la mia consolazione, il mio stimolo preferito…leggere per il piacere di leggere, per questa calma e bellezza che vi circonda quando sentite risuonare nella testa le parole di un autore”. Esattamente quello che ci succede sfogliando le pagine de Le Follie di Brooklyn.
Brooklyn diventa allora un luogo dell’anima, dove l’anziano protagonista, deluso dalla vita, dalle relazioni umane, dal mondo e provato da una malattia appena superata, si rifugia appunto per poi decidere di scrivere una raccolta di memorie, pensieri, ricordi, senza troppa motivazione in realtà se non quella di ridare un po’ di senso alla sua esistenza.
Brooklyn, questo microcosmo che vive all’ombra della luccicante Manhattan, ma splende comunque di luce propria, diventa allora il posto ideale, riparato dal mondo ma pieno di vita e brulicante di vicende umane, in sordina forse, ma sempre degne di essere raccontate, narrate. Esistenza e scrittura, un binomio su cui Auster si è sempre interrogato.
In questo romanzo l’autore ci incanta con il suo stile e come dicevo egli stesso si dimostra artefice di quel mondo letterario fatto di storie, in cui i protagonisti trovano riparo da una perdita di senso, essenzialmente.
Le vicende che popolano il testo sono di ogni tipo, vissute, scritte, raccontate, inventate, sognate e i personaggi vivono in primo piano in questo incastro di mondi narrativi.
Dialoghi, racconti ma poche descrizioni di luoghi fisici, quasi a mantenere virtuale questo mondo parallelo e interiore, intriso di arte che è la Brooklyn con le sue follie e i suoi abitanti, vecchi e nuovi.
Ogni personaggio è infatti in qualche modo legato al mondo della letteratura o della scrittura. L’anziano Nathan che si mette a scrivere le sue memorie, il giovane Tom abbandona un dottorato in letteratura per lavorare in una libreria, Harry, l’uomo vissuto, che da mercante d’arte decide di dedicarsi al commercio di manoscritti antichi.
La psicologia dei personaggi è invece delineata con attenzione e con la profondità tipica di Auster, nonostante lo stile non sia mai pesante e troppo articolato.
Un romanzo sulle consolazioni della letteratura, sulla sua capacità di redimere e di dare a volte una seconda chance a vite apparentemente smarrite o in cerca di senso.
Senza tuttavia allontanarsi troppo dall’esistenza quotidiana, con le sue sconfitte, rinascite e piccole grandi follie di ogni giorno.

per BookAvenue, Silvia Bertolotti

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