Danilo Dolci, Ciò che ho imparato

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«So che abbiamo appena iniziato ad apprendere che gli uomini possono davvero imparare solo se vogliono ricercare e sanno cercare anche insieme; e che purtroppo è sempre presente il rischio di dimenticare quanto si sa». Danilo Dolci (Sesana 28 giugno 1924 – Partinico 30 dicembre 1997). Nel decennale della sua scomparsa, la Mesogea è orgogliosa di pubblicare alcuni degli scritti più rappresentativi del pensiero e dell’opera di Danilo Dolci.

Ciò che ho imparato e altri racconti, antologia curata da Giuseppe Barone – discepolo e poi collaboratore di Dolci – raccoglie una selezione di scritti per lo più introvabili che, insieme, possono considerarsi la summa della sua attività qui ricostruita ripercorrendo le tappe dell’impegno civile (le lotte della nonviolenza per il lavoro e la democrazia, lo ‘sciopero alla rovescia’, l’attività antimafia) e le riflessioni sull’importanza dell’educazione ‘dal basso’ (la ‘maieutica reciproca’ e la ‘capacitazione’ delle persone escluse dal potere e dalle decisioni) secondo modelli organizzativi democratici e partecipativi. L’esperienza umana di Danilo Dolci è la testimonianza più autentica della sua concezione della vita. Triestino di Sesana, Dolci avverte molto presto la ripugnanza per il regime fascista guadagnadosi da subito l’inimicizia e l’ostilità delle classi dirigenti che lo guarderanno sempre con sospetto. Dopo la guerra, si muove tra Roma e Milano per seguire corsi universitari, insegna presso una scuola serale, pubblica le prime opere saggistiche e in versi per cui si fa già apprezzare (nel ’47 è nella rosa dei finalisti del Premio Libera Stampa di Lugano accanto a nomi del calibro di Pier Paolo Pasolini e David Maria Turoldo). Nel ’50 il travaglio interiore sempre crescente, culmina in una scelta drastica: abbandonati gli studi, si reca nella neonata comunità di Nomadelfia dove resterà un anno e quindi si trasferisce a Partinico, in Sicilia, da dove muove i primi passi di quella rivoluzione pacifica a favore della creatività e dello sviluppo umano che – nell’indifferenza e spesso nell’insofferenza dei ceti benpensanti e sotto la costante pressione delle forze politiche al governo (subisce innumerevoli atti diffamatori, minacce, intimidazioni, arresti, condanne) – riuscirà a coinvolgere migliaia di persone, rimanendo ben radicata nella coscienza di quanti lo hanno seguito e ne ha apprezzato l’onestà intellettuale. Dei numerosi riconoscimenti che gli sono stati attribuiti, in buona parte sono premi internazionali.

La dimensione profetica di Danilo Dolci  si coglie bene nel contesto storico odierno, in cui emergono potenziati gli effetti congiunti e perversi dello spreco, della violenza, della falsificazione sistematica. Attento al processo di evoluzione della vita nel cosmo e a quello della storia, di cui denunciava i misfatti, egli mirava a suscitare le capacità latenti di ciascuno, superando ogni barriera di classe, genere, età, etnia, cultura. Sperimentava che la comunicazione interpersonale, sostenuta dalla riflessione genuina sull’uomo e sul cosmo, alimenta la passione per il bene comune e aiuta a percepire la complessità e le risorse inesplorate del reale, in vista del futuro. Su questo si fondava la sua “scienza della speranza”.

Danilo Dolci, Ciò che ho imparato, Mesogea 2008

 

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