B come bei consigli

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Yahoo answers: domande che per vergogna faresti solo agli amici intimi e che invece in rete rivolgi agli sconosciuti, fidandoti – suppongo – delle risposte.

Ci trovate di tutto: da “ragazze, come considerate un bacio dato sul collo?” a “che fine avrà fatto il cavallo bianco della pubblicità Vidal?”, ma anche “sapete consigliarmi libri sull’amicizia?” Ecco, questa è per esempio la delicata questione che pone Eli3396: chi le consiglia Narciso e Boccadoro e L’amico ritrovato non le fa un torto, ma se Eli avesse alla fine dato ascolto a chi le consigliava come imperdibile “Bianco come il latte rosso come il sangue” di D’Avenia?

Non va molto meglio chiedere consiglio in libreria: nelle librerie l’ordine alfabetico è ancora più rigoroso da quando ci prendono a lavorare gli analfabeti lobotomizzati e per forza di cose restringe il perimetro dell’ignoto al secondo scaffale in fondo a destra.

– Saprebbe consigliarmi un bel libro sull’amicizia?

– Chi cerca?

– Non lo so.

– Trova gli autori per iniziale di cognome.

– Grazie, avrei detto sotto la n di nonloso.

A dispetto del titolo brutto, se volete un consiglio per un libro sull’amicizia, andate alla emme di Màrai (Sàndor) e prendete “Le braci”.

Le braci è la storia di un’amicizia tra due ragazzi diversi: uno ricco e l’altro povero, tanto brillante il primo quanto taciturno il secondo, e così via. Eppure sono amici perché condividono un’aneddotica che conoscono solo loro, perché dormono bene insieme e perché semplicemente sono come sono. Sono amici come solo a 14 anni può capitare, e come a 40 solo illudersi di ricreare.

Ma poi crescono e quelle differenze mai pesate in gioventù si riempiono di malizia adulta: la crescita marca il loro legame con tradimenti e, fatto ben più grave, con l’evidenza di inclinazioni dell’altro mai messe a fuoco prima. Henrik e Konrad, questi i loro nomi, si reincontrano dopo 40 anni e il libro racconta perciò a ritroso quel che è avvenuto tra i due, apre l’archivio di un’amicizia segnata da prospettive molto diverse da quelle che si credevano romanticamente univoche.

Il monologo di Henrik rivolto a Konrad, che lo ha tradito, è quindi una ricostruzione della loro amicizia ma diventa nelle mani dell’invisibile Màrai una riflessione sulla soggettività delle relazioni, sullo stupore doloroso di scoprire di avere di fronte un’altra persona, sulla consapevolezza che la resa dei conti – sui cui tanto si insiste per togliersi il famoso peso – non cambia la natura degli esseri umani, e nel confronto in ogni caso perde.

Com’è nello stile di Marai, l’autore non si prende i pensieri per sé ma li regala ai protagonisti, si nasconde in nome di quello che ha dire l’uno all’altro dopo che ha preparato il suo discorso per tutti quegli anni ed è finalmente arrivato il momento.

Henrik si concede poche soddisfazioni, poiché è il primo a mettersi in discussione: in fondo amare un amico – si chiede – non significa accettarlo nella sua diversità, anche atroce? “Se un amico ci delude perché non è un vero amico, possiamo forse metterlo sotto accusa, rinfacciargli il suo carattere, la sua debolezza? E se l’altro grida vendetta, era davvero un amico? Vedi, sono queste le domande alle quali mi sono sforzato di rispondere quando sono rimasto solo”. L’altro dal canto suo ascolta in silenzio, perché l’amicizia è soprattutto stare a sentire.

“Le parole non cambiano la realtà dei fatti”, dice ancora Henrik, eppure non scalfiranno nemmeno il ricordo di quello stato di grazia vissuto in gioventù quando insieme preparavano l’elenco dei peccati da riferire al confessore. E così capita che l’intensità di certi legami la si debba ripagare con tassi da usurai, ma, forse – non lo sapremo mai – vale la pena tuffarsi negli incontri che ti cambiano la vita, se l’alternativa è una passione inghiottita dalla solitudine.

Eli3396, effe come fidati del mio consiglio.

Paola Manduca, per BookAvenue

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